L’Ospedale come ecosistema di dedizione, umanità e santità
Carissimi lettori, in questa notte di Santi vi mando un saluto scrivendovi da una stanza di ospedale di Roma dove sono ricoverato per una pancreatite. Molti di voi già mi hanno raggiunto personalmente e con la preghiera, ringrazio chi si unirà dopo questa riflessione, in quella che è la Comunione dei Santi.
La degenza sta andando bene, miglioro a vista d’occhio e quindi presto potrò uscire da questo Ospedale ma ovviamente non é del mio stato di salute che volevo interessarvi: manco fossi il Papa!
Desideravo invece cominciare a raccontarvi dei tanti Santi Anonimi (come quelli citati nell’editoriale de il Centuplo di oggi che potete recuperare qui) e Santi quotidiani che sto incontrando in questo nosocomio e di cui spesso ho parlato in passato nei miei articoli e nei miei libri e come fanno egregiamente e regolarmente le nostre amiche Costanza Miriano e Lisa Zuccarini.
Stamattina andando alla Messa nella Cappella dell’Ospedale Cristo Re ho letto questa riflessione delle Sorelle Clarisse del Monastero di Albano sul Foglietto “La Domenica” che mi ha spinto a raggiungervi nell’ora della compieta:
“Gioia e gratitudine sono i sentimenti che la liturgia suscita in noi in questo giorno di festa! Mai come oggi ci è dato di sentire l’abbraccio eterno tra cielo e terra, la fraternità universale di tutti i santi, la comune vocazione di “figli di Dio” che L’amore del Padre ha santi-ficato (reso santi) e il sangue del Figlio ha redento.
Sì, santi si nasce ma anche si diventa perché, se è vero che l’amore si riceve, è pur vero che all’amore si risponde. Ogni giorno il Signore continua a scommettere su ciascuno di noi, soprattutto là dove la storia umana sembra voler seppellire, più che rivelare, la nostra identità di figli. Ma cosa rimane alla fine di tutto?
L’Apocalisse ce lo ricorda: restano le persone, i cui volti, trasfigurati dall’amore vissuto, recano impresse storie pasquali tanto diverse quanto simili. “”Sigillo” e “vesti candide”, simboli battesimali, contraddistinguono coloro che, tra prove e sofferenze, attraversano la storia stando “in piedi”, nella postura dei risorti, tenendo “rami di palma” (segno di vittoria) nelle loro mani. Li accomuna la speranza promessa da Gesù alle folle: . La stessa che, qui e ora, ci purifica, ci guida e ci conforta.”
In questi giorni che ho passato al Pronto Soccorso (Inferno) e poi in Purgatorio (reparto) in attesa di ri uscire a riveder le mie stelle (la mia famiglia), sto veramente incontrando decine e decine di persone che attraversano la storia stando in piedi, che donano amore e tante altre che rispondo a quel dono. E’ tanto doloroso qui ma è tutto molto bello se vissuto in quest’ottica.
Mentre osservo le dinamiche dell’ospedale, mi rendo conto di quanto il personale somigli a un gruppo di formiche operose. Ogni individuo, con la propria specializzazione, si muove con efficienza e precisione, collaborando incessantemente per il benessere dei pazienti. Come le formiche che costruiscono e mantengono il formicaio, così i medici, gli infermieri e tutto il personale ospedaliero lavorano senza sosta. Si muovono rapidi nei corridoi, portando sollievo e cure. Sono professionali, preparati e, soprattutto, disponibili e allegri, trasmettendo un senso di sicurezza e serenità anche nei momenti più difficili.
Grazie a loro, l’ospedale non è solo un luogo di cura, ma un vero e proprio ecosistema di dedizione e umanità, dove ogni gesto, seppur piccolo, contribuisce a costruire una grande opera di bene.
L’ospedale è un altro luogo dove si può vivere, donare o comunque sperimentare la santità.
A presto