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Lacrime di gioia – un racconto di Benedetta Bindi

Non bisogna aver paura di piangere . Non bisogna frenare le lacrime, quando vogliono uscire. Ogni individuo deve saper piangere” Sandro Pertini. 

“Povera Delia”, mi capitava spesso di usare quest’espressione pensando  alla mia collega d’ufficio. 

Certe volte la sua malinconia ingombrante, senza una ragione, divampava come un fuoco  mentre si scherzava, e aveva il potere di bruciare il mio buon umore. Ogni volta mi dicevo: “ecco ora arriva il vortice, adesso la risucchia in un vuoto abissale”, mi bastavano alcuni dettagli per pronunciare questa frase. Capitava quando iniziava a mangiare il suo panino all’olio, dando piccoli morsi, come fosse un roditore, o da tenui colpi di tosse, seguiti dallo sgranare degli occhi. Mi ci è voluto un po’ per avvicinarmi a lei, e toglierle quell’armatura stretta, che si infilava per sopportare il mondo.

Ricordo il giorno più importante, quello  del compleanno di Marta. Delia non voleva venire alla cena che era stata organizzata per l’occasione. Sono stata io ad incitare le colleghe dell’ufficio,  a  urlare  in coro: “devi venire, devi venire, ai cinquant’anni di Marta non si può mancare!!” Non abbiamo smesso, fino a quando non abbiamo udito il suo :”si”, rassegnato. Per la prima volta quel giorno, mi sono accorta di quanto fosse bella. Un viso dall’ovale perfetto,  denti bianchi, labbra ben delineate, capelli color oro, lisci come la seta. Ci metteva una molletta a scatto da un lato, come quelle che usavo io da bambina, cambiava il colore in base al suo abbigliamento, proprio come faceva mia madre con me.

Quella sera al compleanno  di Marta, Delia una volta rimasta da sola in auto con me, ha iniziato ad essere loquace.  A quel punto ho azzardato, e le ho domandato come mai fosse a volte terribilmente triste, poi ho spento  il motore l’auto.  Eravamo  arrivate  sotto il suo portone. Lei non mi ha risposto. Ricordo che mi sono girata ad osservarla. Il suo sguardo improvvisamente si è come: ”diluito”, poi è scoppiata a piangere in maniera dirompente, come fosse una bimba alla quale hanno sottratto un gioco. A quel punto  mi sono immediatamente scusata per la mia invadenza, le ho accarezzato la mano. I  singhiozzi non si arrestavano, ero nel totale imbarazzo. Delia ha preso un fazzoletto dalla borsa,  si è asciugata le lacrime, e ha parlato  per circa due ore.  Mentre l’ascoltavo, pensavo che  con la vita che aveva alle spalle, essere ancora in piedi era un miracolo. Tolta ai genitori con problemi di alcool, cresciuta in una casa famiglia, poi un susseguirsi poi di uomini violenti. Parlava toccandosi freneticamente i lembi della gonna, dalla quale uscivano due  gambe affusolate, talmente belle da venir voglia di fotografarle. Sorridendo mi ha detto: ”ho pochi sogni, perché ho imparato che quando si infrangono ricadono su di me come frecce, e fanno male. Ma uno resiste come fosse tatuato sulla mia pelle: quello di diventare madre”. Io l’ho abbracciata stretta. 

Quando il cuore è allo scoperto, riceve l’amore in maniera quasi animale.

Sentivo la pressione delle sue dita sulla mia schiena, penso che nessuno mai, mi abbia stretto in quel modo, nemmeno Carlo mio marito. Poi le ho detto: ”anch’io sono caduta, ho trascorso tre anni con una persona che mi ha devastato. Noi ci dobbiamo solo difendere dalla malsana abitudine che abbiamo di cadere, ma ci si riesce”. Poi le ho stretto entrambe le mani e trattenendo le lacrime le ho sussurrato: “un giorno ti arriverà tutto quello che ti spetta! A me è capitato”. Lei mi ha sorriso, mentre sulle guance le si stampavano due meravigliose fossette.  Il giorno dopo in ufficio mi ha ringraziato, mi ha detto che  piangere consola: ”da bambina i miei genitori non volevano lo facessi, da adolescente le suore, da adulta i miei fidanzati…”. Da quel giorno siamo diventate amiche. 

Ci sono legami che hanno bisogno di anni per consolidarsi, anche decenni, alcuni diventano indistruttibili in un solo  momento, per noi è stato da quell’abbraccio.  

Oggi sono sulla spiaggia, è il tramonto, fa un caldo bestiale, ma non mi lamento, sono in ferie! Mio marito  è appena  andato a casa. Apro la lettera che mi ha inviato Delia. La busta è celeste, mi sorprende che non mi abbia scritto una e-mail come fa di solito.  Lei ha molto tempo libero, le piace scrivermi i suoi pensieri, e a me piace leggerli. Da più di un anno non la vedo, mi manca. A quel famoso compleanno le  hanno presentato il fratellino di Marta, un omone di un metro e novanta, che la mia collega si ostina ancora a chiamare: “Fabrizino”, solo perché hanno tredici  anni di differenza e lei si sente una seconda  madre. Lui si è innamorato all’istante di Delia, lei nel tempo. Poi la società nella quale lavora,  ha  dato a lui l’opportunità di  trasferirsi in Canada, con un avanzamento di carriera. Non se l’è fatta scappare, e  ha portato con sé la futura moglie. Delia ora sta imparando l’inglese,  e a breve  cercherà un lavoro. 

Io mi decido e rompo piano piano la busta, mi appare  una fotografia di Fabrizio con lei, sorridenti sul letto,  la sua pancia  è bella tonda come un mappamondo. Nessuno mi aveva detto della sua gravidanza, nemmeno Marta. Sotto c’è scritto: “Giulia a breve sarai zia! Ti aspettiamo!” Io non trattengo più le lacrime, e nemmeno il riso, stringo la foto tra le mani, e la guardo in tutto il suo splendore. 

Alzo gli occhi, continuando a piangere, a ridere, ad asciugarmi le lacrime,  mentre un windsurf corre veloce sul mare,  mi domando quanto un cuore possa ingrossarsi senza scoppiare.

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