Scortichiamo il cuore perché fuoriesca il meglio della nostra umanità
L’INFERNO – Se l’inferno esiste farò di tutto per non andarci. Non voglio vederlo, né sentirne il puzzo, nemmeno da lontano. Per riuscirci mi atterrò al Vangelo. Accade poi che l’inferno che detesti, arrivi qua, in mezzo a noi, su questa pallina chiamata terra, sulla quale tutti – ma proprio tutti – potremmo felicemente trascorrere questi pochi anni che ci vengono donati.
Arriva in un ospedale, santuario della civiltà, della bontà, del meglio dell’umanità, mentre lotti per strappare alla vita ancora qualche anno. Mentre ogni giorno sogni di poter fare ritorno a casa e riabbracciare i tuoi cari. Arriva l’inferno con una prepotenza e una distruzione tali contro cui non puoi fare assolutamente niente. Portasse con sé solo la morte, sarebbe ancora sopportabile. Sono quei corpi dilaniati, ma vivi, quelle urla disumane di persone che chiedono aiuto che spaccano il cuore.
Ti senti in trappola. Scappare non puoi, difenderti nemmeno. Scaraventati a terra, senza vita, gli amici che fino a un minuto prima, con te, come te, riconcorrevano il sogno di poter guarire. Per certi aspetti, senza essere cinici, sono stati fortunati. Hanno smesso di soffrire. Sono volati via. Dove, in questo momento, non importa. A fare spavento sono i feriti dilaniati.
E tra questi, i bambini. I nostri bambini. I bambini di tutti. Davanti ai loro occhi terrorizzati dovremmo solo vergognarci, affondare la testa tra le mani, cadere in ginocchio e chiedere perdono. «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, incappò nei briganti…» A terra, nudo, mezzo morto, i suoi occhi imploravano pietà.
Merce rara ma preziosissima, la pietà. Laddove si affievolisce l’uomo corre seri rischi; dove si spegne del tutto, si ritrova a non essere più uomo. Ha iniziato la sua discesa verso l’inferno. Si è fatto ammaliare dal male. Ma come fa ad ammaliare il male? Quale segreta corda dell’animo riesce a far risuonare? L’ospedale: luogo tra i più sacri, non meno di un luogo di culto, dove la fragilità dell’altro ti ricorda che anche se sei nel fiore dell’età e nel pieno delle forze, non puoi essere certo di niente. Gli ospedali delle terre in guerra trasformati in mattatoi. Sangue. Tanto sangue.
Uomini di tutto il mondo, gridate il vostro orrore. Non badate alle differenze della lingua, della religione, della posizione economica e geografica. Scendete per le strade, invadete le piazze, riempite le chiese, le sinagoghe, le moschee. Non abituatevi allo scempio della vita. Lasciate agli esperti fare i loro discorsi, le loro previsioni, le loro analisi. Voi – è indispensabile- preoccupatevi di tenere acceso il fuoco della pietà.
Come? Andando alla ricerca di ogni parola, di ogni gesto, di ogni azione per correre incontro all’altro. Dimenticando l’offesa ricevuta. Condonando il debito che non può essere pagato. Scorticando il cuore perché fuoriesca il meglio della vostra umanità. Perdonando chi vi ha fatto male. Piegando le ginocchia per implorare da Dio il dono della pace.
È incredibile come si possa scendere la ripida scala che porta all’inferno. Fermiamoci. Nel nome di Dio, fermiamoci tutti, prima che sia tardi. Troviamo il coraggio per guardare quei corpi lacerati di fratelli e sorelle già malati, già debilitati, già scoraggiati. Chiediamo al Dio in cui crediamo, comunque lo chiamiamo, ovunque lo preghiamo, il dono della pietà, in questo momento il bene più prezioso di cui necessità questa nostra povera umanità.
«A un mondo che muore di fame, di miseria, di pesantezza, di odio, che gli egoismi più feroci divorano, le parole non bastano. Occorre che qualcuno esca e pianti la tenda dell’amore accanto a quella dell’odio. Dichiarandosi contro apertamente a tutte le ferocità dell’ora, ovunque si trovino, sotto qualunque nome si celino, in uno sforzo di santità sociale che restituisca un’anima a questo nostro povero mondo che l’ha perduta», scriveva nel lontano 1937 don Primo Mazzolari. Facciamo la nostra parte. Non rassegniamoci. Corriamo insieme a piantare la nostra tenda dell’amore.
Maurizio Patriciello