La neve in fondo al mare: un romanzo sul bisogno di cura dei nostri figli
“E ogni volta penso a quanto sia difficile il lavoro di genitore quando gli tocca tenere la parte del cattivo, anche se non vuole, come il “villain” di un film che ha la funzione di far scoprire all’eroe i suoi poteri nascosti, come il vento che mette alla prova la resistenza e la profondità delle radici, come uno che cerca di fare il meglio che può, con i limiti che ha, pregando ogni giorno di riuscire a essere abbastanza, sapendo che probabilmente non lo sarà mai, perché è impossibile essere all’altezza del miracolo che siete, e perché certi giorni, in questo periodo, vorremmo solo gridare insieme a voi”. (tratto da La neve in fondo al mare di M.Bussola, Einaudi ed., 66-67)
Il nuovo libro di Matteo Bussola , ambientato in un reparto di neuropsichiatria, narra la fragilità dei nostri figli. E di riflesso, quella di noi genitori. Ci porta nelle vite, nel cuore e nella mente di famiglie che attraversano un tempo di dolore e sofferenza. Ci mostra la fatica di crescere, ma anche la fatica di credere che esista un orizzonte verso cui tendere, la cui linea sembra invisibile e irraggiungibile a molti ragazzi e ragazze del terzo millennio. In questa storia, ci sono madri e padri che sostano, che sperano, che imprecano. Che vedono i loro figli – che dovrebbero essere germoglianti come i fiori in primavera – piegarsi su se stessi bisognosi di luce e nutrimento che non riescono a trovare né dentro né fuori di sé.
E’ il papà di Tommaso, giovane adolescente affetto da un disturbo del comportamento alimentare ed entrato in ospedale per non morirne, il protagonista del romanzo. E’ un padre che scandaglia la vita propria e quella degli altri genitori, che – in quel reparto ospedaliero – con lui condividono il tempo lungo di giornate lente e vuote solo all’apparenza. Madri e padri che condividono un filo comune che dia senso a qualcosa che un senso non ce l’ha, per dirla alla Vasco Rossi. Noi lettori si sta a fianco di questo papà, si osserva insieme a lui cosa accade nelle stanze in cui sono accolti gli altri giovani pazienti, si beve il caffè insieme agli altri genitori, si soffre e si spera con tutti loro.
Questo libro ci porta dentro un vuoto che oggi abita le vite di molte famiglie, un vuoto che si è generato senza sapere né come né quando. Il papà di Tommaso alterna il qui ed ora della sua genitorialità, con ricordi di quel percorso di paternità che lo ha visto cullare un neonato, accompagnare un figlio a scuola, fare il tifo per lui, fino ad un momento in cui qualcosa si è rotto, senza quasi che nessuno se ne accorgesse. Questo è un romanzo dove tutti hanno frantumi da raccogliere e rimettere insieme, in un lavoro di “Kintsukuroi” dell’esistenza, ovvero di quell’arte giapponese che restaurando vasi attraversati da crepe e fratture, li rende vivi e nuovi a se stessi, ritrovando la bellezza là dove prima c’era solo frantumazione. Matteo Bussola maneggia bene le vicende e lo stile narrativo con cui ce le narra, trasformandoci da lettori ad attori, da spettatori a compagni di viaggio dei suoi personaggi. Un viaggio dove si viene attraversati da una nostalgia dolorosa che conduce alla scoperta di una speranza che all’improvviso si scioglie in lacrime e sguardi che guardano avanti e non più indietro.