Con Monsignor Giuseppe D’Alonzo abbiamo parlato di Chiara Corbella e della santità del vicino di casa
Lo scorso Venerdì 21 giugno 2024 si è tenuto nella basilica di San Giovanni in Laterano (link a youtube) la sessione di Chiusura dell’inchiesta diocesana sulla vita, le virtù, la fama di santità e dei segni della Serva di Dio Chiara Corbella. La cerimonia, presieduta dal vescovo Baldo Reina, vicegerente della diocesi di Roma ha visto anche la presenza dei membri del Tribunale diocesano che hanno condotto l’inchiesta: monsignor Giuseppe D’Alonzo, delegato episcopale; don Giorgio Ciucci, promotore di giustizia; Marcello Terramani, notaio attuario.
«Il 13 giugno 2012 moriva a Pian della Carlotta (Cerveteri) la Serva di Dio Chiara Corbella, laica e madre di famiglia, sposa e madre di grande fede in Dio», si legge nell’editto che ha dato il via alla causa, il 21 settembre 2018. Chiara, «dopo essersi sposata il 21 settembre 2008 si trovò ben presto a vivere situazioni davvero difficili quali la morte di due figli piccoli, poco dopo le nascite. Durante la terza gravidanza, a Chiara fu diagnosticato un tumore. Le eventuali cure avrebbero avuto conseguenze mortali sul bambino che portava in grembo, ma l’attesa ne avrebbe compromesso l’efficacia». Non ebbe dubbi: decise di portare a compimento la gravidanza. Morì a soli 28 anni.
In uno dei tanti momenti conviviali a Nomadelfia di Roma, ho incontrato Don Giuseppe, qui in Parrocchia conosciuto come Don Pino e abbiamo parlato un po’ con lui di questa inchiesta Diocesana e di Santità in generale. Ne è venuto fuori un dialogo profondo e autentico che non voglio tenere solo per me ma donare a tutti voi a modi intervista.
“1) Don Pino, che cosa vuol dire che si è concluso il processo diocesano? Adesso come continua l’iter verso la Beatificazione di Chiara Corbella Petrillo?
Parlare di inchiesta diocesana equivale a parlare di un vero processo istruttorio, con la costituzione di un Tribunale, composto da un Giudice istruttore o Delegato Episcopale, da un Promotore di Giustizia e da un Notaio, tutti nominati, come nel caso specifico della Causa di beatificazione della Serva di Dio Chiara Corbella, dal Cardinale Angelo De Donatis.
Vorrei fare una premessa, che ritengo importante.
Di quali figure di santi e di sante ha bisogno oggi la Chiesa? Alcuni importanti sintomi per rispondere a questa domanda sono la presenza o meno di una fama di santità, che nasce dalla convinzione dei fedeli circa la santità di una persona ed ha come conseguenza logica la convinzione comune circa l’efficacia della sua intercessione presso il Signore. Questa poi è testimoniata dalla fama signorum, ossia l’opinione diffusa tra i fedeli circa le grazie e i favori celesti ricevuti da Dio attraverso l’intercessione del Servo di Dio. Di fatto, l’assenza di «segni» è il primo e grave sintomo dell’assenza di una reale “fama di santità”.
Quando si ha la convinzione tra i fedeli della santità di vita, ci deve essere qualcuno – che comunemente chiamo Attore -, che abbia l’onore e l’onere di promuovere una Causa di beatificazione e canonizzazione. L’attore, con un mandato redatto a norma del diritto, nomina un procuratore, ossia il Postulatore.
Il Postulatore, con l’accertamento di una solida e ben diffusa fama di santità, requisito fondamentale per l’avvio di una Causa di beatificazione e canonizzazione, presenta al Vescovo un libello, nel quale riporta chiaramente i fatti salienti della vita, con particolare riferimento all’esercizio delle virtù e alla fama di santità, chiedendo, quindi, di dare inizio alla Causa nella fase diocesana. Insieme al libello, il Postulatore allega un documento, che è elenco dei testimoni da contattare, persone che hanno avuto la gioia di conoscere personalmente il candidato agli onori degli altari.
2) Quindi poi il giudice che cosa fa?
Compito del giudice, dopo aver chiesto e ottenuto i dovuti permessi dagli organi Superiori, è quello di ascoltare le testimonianze orali, basate, non su affermazioni generiche, ma su fatti ed esempi concreti della vita e virtù, e, coadiuvato dal notaio, redigere un verbale scritto, che sia fedele a quanto il testimone ha riferito. Sarà fondamentale conoscere se la Serva di Dio esercitò tutte le virtù in grado eroico.
Concludere un’inchiesta diocesana significa aver raccolto tutte le prove, ed è un lavoro molto impegnativo e faticoso. Oltre ai membri del Tribunale, per la grande mole di lavoro collaborano anche persone esperte sia in Teologia, chiamate a leggere gli scritti editi del candidato per escludere eventuali dubbi sulla fede e sulla morale; sia in materia storica e archivistica, avendo l’onere di compulsare diversi archivi storici per raccogliere i documenti della Serva di Dio e tutti gli scritti inediti sulla Serva di Dio al fine di delineare un giudizio sulla personalità e sulla spiritualità della Serva di Dio, così come sono emersi dall’esame degli scritti stessi.
Completata l’istruttoria, il Giudice Istruttore o il Delegato Episcopale dispone di fare una doppia copia conforme di tutti gli atti originali dell’Inchiesta, sia prove testificali, sia prove documentali. Il tutto, poi, viene trasmesso al Dicastero delle Cause dei Santi per lo studio finale.
3) Quante cause di beatificazione hai seguito? Ci si emoziona sempre o anche questo rischia di diventare un lavoro qualunque?
Mi risulta difficile quantificare il numero di cause che ho seguito personalmente nell’arco dei miei anni di ministero sacerdotale in Tribunale Ordinario della Diocesi di Roma. Sicuramente le cause di beatificazione e canonizzazione saranno state più di centinaio. Di queste, alcuni candidati sono già stati dichiarati santi dalla Chiesa: San Paolo VI, San Giovanni Paolo II, Santa Madre Teresa di Calcutta, altri sono oggi Beati, e tanti altri sono stati dichiarati Venerabili, altri ancora sono nella fase dello studio presso il Dicastero delle Cause dei Santi.
Mi ritengo una persona “graziata” da Dio per il ministero sacerdotale che svolgo nella diocesi di Roma. A tanti amici, spesso dico che il mio non è un lavoro, ma è un ministero sacerdotale che mi edifica spiritualmente, perché lo studio e la conoscenza di queste figure di santi mi porta al confronto, dove io mi sforzo di imitare il loro esempio di vita, di adesione a Cristo, amando il Signore e servendoLo nei fratelli che incontro nel mio quotidiano.
Potrebbe sembrare a tanti un lavoro sterile, stando a contatto con tantissimi documenti da leggere e studiare, ma vi garantisco il contrario: con passione e amore per quello che faccio nel quotidiano, con l’aggiunta dell’esperienza pastorale parrocchiale, il sacerdozio è ricco di frutti.
4) Che cosa vuol dire quando insegniamo ai nostri giovani, ai nostri figli che tutti siamo chiamati alla Santità? Chi sono i Santi oggi?
Parlare di santità oggi, soprattutto ai giovani, è cosa ardua, un percorso quasi impossibile da raggiungere, cosa da extraterrestri.
Oggi, però, siamo in un cambiamento d’epoca, come ripete Francesco. Oggi non siamo più in epoca di cristianità e neppure siamo nel paganesimo pre-cristiano. Dal santo dello straordinario sentiamo il bisogno di passare al santo della modestia: quello che non progetta nulla di particolare, ma fa di volta in volta quello che l’ora gli richiede.
Forse per questo siamo divenuti più sensibili a certe affermazioni e a certe immagini, che se per un verso (e doverosamente) ci riportano ai temi della conciliare vocazione universale alla santità, per altro vorrebbe tratteggiare una agiografia nuova. Penso a quel «programmare la santità» di cui trattò san Giovanni Paolo II nella Novo Millennio Ineunte, dove riprendendo il Vaticano scrisse: «Come il Concilio stesso ha spiegato, questo ideale di perfezione non va equivocato come se implicasse una sorta di vita straordinaria, praticabile solo da alcuni “geni” della santità. Le vie della santità sono molteplici, e adatte alla vocazione di ciascuno… È ora di riproporre a tutti con convinzione questa “misura alta” della vita cristiana ordinaria» (n. 31).
Penso a Papa Francesco, che in Gaudete et exsultate: «mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente: nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere. In questa costanza per andare avanti giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante. Questa è tante volte la santità “della porta accanto”, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio, o, per usare un’altra espressione, “la classe media della santità”».
Tutte le persone, eccetto la Beata Vergine Maria ed escludendo Cristo, non sono nate sante: sono state come noi, di carne e ossa come noi, sicuramente peccatori come noi, perché santi non si nasce, ma si diventa con la grazia e la forza che provengono da Nostro Signore.
La santità è quel seme che Dio ha piantato nel giardino della nostra vita, donandoci la fede nel giorno del nostro battesimo, quando la nostra vita è stata innestata in Lui, come il tralcio nella vite.
Infatti, tutti i grandi santi della storia della Chiesa sono stati peccatori prima ancora di intraprendere il cammino della santità ed essere proclamati tali dalla Chiesa. Penso a San Pietro, un pescatore, San Paolo, un persecutore dei cristiani e di Cristo, Sant’Agostino, che per tanti anni ha avuto una vita da dissoluto, San Francesco d’Assisi, come anche tanti altri volti di uomini e donne, sparsi nel mondo a noi sconosciuti: la loro vita è cambiata quando hanno incontrato Cristo, quando hanno fatto l’esperienza dell’amore di Cristo e si sono lasciati afferrare e trasformare da Lui. Scriverà San Paolo nella Lettera ai Galati: “Non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me”. Da qui comprendiamo anzitutto qual è la maniera con la quale Cristo prende possesso della vita di Paolo: è per mezzo della fede. Quale fede, però?
La fede del cristiano, aggiunge l’Apostolo, si fonda sull’affidabilità di Cristo. Su Cristo si può contare anzitutto a motivo della sua dignità divina: è il Figlio di Dio! Per altro aspetto, Cristo è colui che mi ha amato sino dare la propria vita per me. Come non fidarsi di lui? Come non affidarsi a lui?
Per Romano Guardini la santità è la in-esistenza di Cristo nel cristiano e questo essere di Cristo nell’uomo può essere chiamata l’interiorità cristiana. Essa dipende da Cristo e scompare se Cristo è scacciato.
Concludendo, mi sembra doveroso, a tal riguardo, richiamare testualmente qualche pensiero di Papa Francesco sulla santità, che è particolarmente denso di significato e vitale per il cammino di fede. Papa Francesco così ci esorta: “La santità non è un programma di sforzi e di rinunce, non è una ginnastica spirituale, ma è anzitutto la gioiosa scoperta di essere figli amati da Dio, di ricevere gratuitamente il suo amore, la sua misericordia. Questo dono divino che riceviamo ci apre alla riconoscenza e ci consente di fare esperienza di una gioia grande, che non è l’emozione di un istante o un semplice ottimismo umano, ma è la certezza di poter affrontare ogni situazione sotto lo sguardo amoroso di Dio con la grazia e l’audacia che provengono da Lui” (6 ottobre 2022).
Per fortuna, anzi per grazia di Dio, in Paradiso non ci sono soltanto i santi e i beati dichiarati tali dalla Chiesa, ma c’è anche una moltitudine di fedeli, che sono volti sconosciuti a tantissimi di noi, e che godono già la pienezza della vita di Dio, contemplando il Suo volto.
Nella mia ultratrentennale vita sacerdotale, durante l’esperienza pastorale parrocchiale, ho avuto la gioia e la grazia di incontrare tanti uomini e donne, papà e mamme, giovani e anziani, di grande fede nel Signore, che hanno saputo testimoniare la fedeltà del Signore attraverso l’esperienza della sua infinita misericordia, facendo, soprattutto durante la grande prova della sofferenza fisica a causa di tante malattie, la volontà di Dio.”
Il mio cuore si scioglie in un ringraziamento e fedelmente vi riporto il nostro bellissimo colloquio sperando di trasmettervi un po’ di questa beatitudine che ho vissuto nel raccogliere queste parole.