Ottorino Respighi – “Gli Uccelli” – Messaggeri tra cielo e terra?
Nel canto dell’usignolo, l’istinto sessuale materiale assume la forma di suoni ordinati. L’espressione sonora oggettiva della passione occulta completamente il suo fondamento materiale, acquista un significato autonomo e può venire astratta dal suo motivo fisiologico immediato: possiamo ascoltare un uccello che canta e ricavarne un godimento estetico, dimenticando completamente ciò che lo spinge a cantare […]. Quel canto è la trasfigurazione dell’istinto sessuale: incarna in sé l’idea dell’amore.
(Vladimir Solov’ev, Della Bellezza)
La prima volta che ho incontrato la suddetta riflessione del filosofo russo Vladimir Solov’ev, sulla bellezza del canto dell’usignolo, non ho potuto fare a meno di pensare a l’uso che ne fece Respighi nel 1924 (da riprodurre al grammofono, grazie ad una incisione su disco, durante l’esecuzione dell’orchestra: così richiede la partitura) nelle battute finali del terzo quadro sinfonico dedicato a I pini di Roma (‘I Pini del Gianicolo’), a seguire l’affascinante melodia, eseguita al clarinetto, che ricorre più volte nella composizione:
Pochi anni dopo, Ottorino Respighi (1879-1936) coglierà l’occasione per tornare sull’indagine sonora ornitologica attraverso la sua Suite per piccola orchestra Gli Uccelli (1927).
Respighi appartiene a quella eletta schiera di compositori italiani la cui fama, varcati i confini della Patria, si è propagata in tutto il mondo. A livello di pubblico, Respighi è fra i pochi compositori del primo ‘900 realmente popolari, sicuramente grazie alla sua sviluppata sensibilità per il colore e l’impasto orchestrale ed alla particolarmente felice vena melodica, ben contenuta in un infallibile assetto formale: i suoi tre Poemi sinfonici dedicati a Roma: Le Fontane, Le Feste e I Pini.
Lo spunto, per rappresentare in musica gli uccelli, venne al compositore bolognese da cinque brevi composizioni di autori di epoca barocca, tuttavia ancora legati allo spirito musicale tardo-rinascimentale, che Respighi decise di orchestrare in un originale stile neo-rinascimentale. La suite è un tentativo, ben riuscito, di evocare il canto e le movenze di alcuni particolari volatili, attraverso appropriate caratterizzazioni melodiche, timbriche e ritmiche. Infatti, a parte il “Preludio” introduttivo (su musiche di Bernardo Pasquini), gli altri brani sono dedicati ciascuno ad un singolare uccello; “La Colomba” (da Jean de Gallot), “La Gallina” (da Philippe Rameau), “L’Usignolo” (da un anonimo inglese) ed “Il Cucù” (di nuovo da Bernardo Pasquini).
GUIDA ALL’ASCOLTO:
Orchestrazione: ottavino, flauto, oboe, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, ma autore anche di un’assai vasta produzione orchestrale e pianistica – arpa, celesta, 2 sezioni di violini, viole, violoncelli, contrabbassi.
Il canto de “La Colomba”, eseguito dall’oboe su un elegante accompagnamento dell’arpa e degli archi in sordina, si staglia nella sua purezza, seguito poi da veloci passaggi degli archi che suggeriscono l’andamento del volo di questo delicato uccello.
Particolarmente azzeccate le soluzioni trovate da Respighi per “La Gallina”, dove la ritmica delle rapide biscrome ne caratterizzano l’andamento nervoso, finché nelle ultime due battute non interviene (in sincope) il gallo col suo imperioso chicchirichì, ottenuto da Respighi con la paradossale soluzione (un ossimoro, si potrebbe dire) di una tromba in sordina che esegue in fortissimo:
Ne “L’Usignolo” un raffinato accompagnamento degli archi prepara il tappeto armonico ideale per la melodia del suo canto, eseguita dal flauto, con un fagotto in contrappunto, che esalta proprio quella bellezza a cui alludeva Solov’ev nella citazione in esergo (Immagine 3).
Ne “Il Cucù”, sono le ripetute due note del suo tipico canto – rimpallate da uno strumento all’altro – a fare da leit motiv al brano (lo stesso intervallo discendente di terza minore che utilizzò il compositore inglese Frederick Delius, nel suo intimistico poema sinfonico On hearing the first cuckoo in spring). Da rilevare anche l’originale utilizzo, da parte di Respighi, di uno strumento come la celeste, in delicati arpeggi ed incisivi passaggi che ben s’inseriscono nell’impasto orchestrale.
Ovviamente, la suite si prestava bene all’arte coreografica, e dal 1933 in poi sono stati prodotti molti balletti con differenti e fantasiose coreografie.
Eduardo Ciampi