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La festa di una città: momento di speranza

Riflessioni per noi barlettani nella festa dei Santi Patroni

Dal 13 al 15 luglio nella mia città originaria di Barletta, nella quale sono tornato dall’ottobre scorso a svolgere il ministero presbiterale presso la Parrocchia di Sant’ Andrea e a collaborare nella Concattedrale di Santa Maria Maggiore, si tiene la tradizionale Festa Patronale sotto la custodia e l’intercessione di Maria Santissima dello Sterpeto e San Ruggero vescovo. Un momento tanto atteso da noi barlettani in cui ritrovarci a celebrare la Parola e l’ Eucaristia come popolo di Dio. Non solo. Un momento partecipativo che alimenta la sana appartenenza a una cultura comune, che fa riunire la collettività nella religiosità cristiana, attraverso il culto divino e la pietà popolare.

Ma che senso può avere nel terzo millennio – quello dell’era digitale e dell’intelligenza artificiale – portare avanti delle usanze religiose e civili di secolare memoria? È anacronismo o invece una nuova opportunità di crescita per la cittadinanza?

La risposta è ambivalente ma niente affatto ambigua.

Mi spiego meglio: se per tradizioni (al plurale) si intende una mentalità stantia fatta di abitudini svuotate di memoria e partecipazione, allora questo diventa un revival monotono che può far viaggiare nella nostalgia e tenere legate solo le generazioni di una certa stagione.

Negli anni 70′ l’allora giovane teologo Ratzinger parlava di una religiosità che “può rischiare di diventare solo folklore se non addirittura infantilismo spirituale”. Se invece le buone tradizioni e la storia vivente di un popolo è “buona notizia di pace e giustizia, verità e libertà, amore e solidarietà” allora siamo su una buona strada da non lasciare, e i Santi Patroni diventano (e a Barletta vi assicuro che lo sono, per esperienza che faccio quotidianamente) un punto di riferimento per chi cerca Dio e per quanti hanno sete di vita, hanno nostalgia dell’infinito.

Il noto scrittore e saggista, poeta e regista Pasolini pur mantenendo ferma la sua posizione di ateo apprezzava con molto rigore il clima sacro delle chiese e temeva che una parte di Chiesa Cattolica dopo il Concilio potesse cadere nell'”imborghesimento” di chi, colmo di teologia, si stacca dalla realtà del popolo (lui parlava di masse, usando un linguaggio marxista).

Oggi in un momento storico dove le macchine vorrebbero sostituirsi all’umano, le guerre in Ucraina e a Gaza macchiano di sangue la terra, nuovi estremismi e mentalità xenofobe separano le culture, un momento come la Festa di una Città attorno a Maria di Nazareth e a un vescovo povero e umile come Ruggero è davvero occasione per annunciare il Vangelo della speranza per un nuovo dialogo tra popoli, culture e religioni anche (il nostro noto quartiere Santa Maria ospita da anni cittadini extracomunitari di altre confessioni e fedi).

Con le parole della preghiera che ogni barlettano conosce a memoria, perché appresa in casa o ricevuta dall’insegnamento dei nonni, genitori e parroci diciamo con gioia ed entusiasmo: “benedici Maria il nostro mare, le nostre campagne e i nostri lavori”.

Benedici Maria il mare della vita dove tante barche possano incontrarsi per una rinnovata pesca di uomini e donne smarriti nel naufragio della tristezza e della solitudine.

Benedici le campagne dove i migranti sono spesso sfruttati e anche le zolle dove i nostri contadini si prendono cura della nostra Madre Terra, per usare le parole del Cantico di San Francesco.

Benedici i nostri lavori: che la Festa non ci faccia impigliare nell’ozio o nello stordimento ma sia riposo sano e gaudio stupendo per tornare poi alla vita feriale da uomini e donne liberi e felici in Cristo.

sac. Domenico Savio Pierro

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