cultura

La possibilità di essere felice – un racconto di Benedetta Bindi

“Abbiamo tutti le nostre macchine del tempo. Alcune ci riportano indietro, e si chiamano ricordi. Alcune ci portano avanti, e si chiamano sogni”. (Jeremy Irons)

“Questo tempo è migliore del mio! Tu sei fortunata, non vivi dentro una bolla digitale, molti lo pensano, ma è una bugia, non crederci!”

Questo dicevo a mia figlia giorni fa, mettendo in tavola due piatti di pasta. Ogni tanto ho bisogno di sfogarmi con i miei figli, anche per risollevargli il morale. Spesso sentono dire che per loro il futuro è irto di difficoltà, che i giovani non trovano lavoro, che virus e guerre impazzano, che ai tempi dei loro genitori, tutto era migliore. Io non ne sono così convinta, e voglio fargli notare che c’è del buono anche nell’epoca nella quale viviamo.

Mio figlio Matteo era rimasto a casa di un amico, e mio marito era fuori città per lavoro. Così mentre Marica masticava un maccherone, io parlavo a ruota libera: ”Ai miei tempi non c’era l’informazione che hai te. Io vivevo a Torino con i nonni, c’era un solo telegiornale, e un solo quotidiano famoso, di proprietà dell’uomo di potente d’Italia. Andavo al circolo bocciofilo dove andava mio zio, per giocare con le mie amiche. C’era una stanza per noi nipoti, e si facevano cose, tipo collanine o piccoli mercatini dove si portava tutto quello che a casa non serviva. La signora Rosa cuciva sempre, era una vecchia professoressa in pensione, l’adoravo, a noi ragazze ci raccontava tante cose. Lei diceva che la cultura è l’unico bene degli uomini e delle donne che diviso fra tutti, anziché diminuire diventa più grande”.

Marica la vedevo presa dai suoi pensieri, più che dalla mie parole, ma ogni tanto alzava gli occhi su di me in silenzio. Io continuavo a parlare:

”In ogni caso qualsiasi argomento che mi arrivava era solo da pochi fonti. Vedi ora c’è la guerra tra Ucraina e Russia per esempio, nella striscia di Gaza, tu puoi leggere tante cose su social, sui quotidiani, ascoltare vari telegiornali, trasmissioni a tema, e farti la tua opinione”.

A quel punto lei mi ha interrotto dicendomi cosa sapevo della guerra in Vietnam, perché la professoressa d’Italiano le aveva detto che gli americani ci erano andati giù pesante, queste sono state le parole di mia figlia. Tutta la classe era rimasta in silenzio, perché nessuno dei suoi compagni , tantomeno lei, ne sapeva sull’argomento. Ho risposto:

“Certo! Ora ti spiego come sono andate le cose. Quando avevo la tua età c’era la guerra in Vietnam! Lo sai che io a quel tempo sapevo solo una cosa, che i vietcong erano gente malvagia da eliminare. Solo quando ci sono stati altri telegiornali, altri opinioni politiche ho scoperto altre interpretazioni”.

Dopo averle spiegato i fatti ho concluso:

“La cosa certa è che ogni guerra è maledetta e da evitare. Le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki furono due attacchi nucleari attuati dagli Stati Uniti ‘America contro il Giappone, rispettivamente il 6 e il 9 agosto del 1945, sul finire della seconda guerra mondiale. Le immagini che ho visto in tv, mi colpirono così tanto, che mi hanno ossessionato per anni. Ma gli uomini dimenticano, e adesso nel mondo si continua a usare le armi da fuoco”.

Quel pomeriggio e gli altri due seguenti, l’ho aiutata a preparare le sue ultime interrogazioni, di solito litighiamo parecchio perché lei vuole sempre uscire, fare anche tardi e ha solo quindici anni. Ma in quei giorni di studio insieme, non ha fatto richieste ed è filato tutto liscio. Ieri è tornata da casa felicissima, ha mostrato dal suo telefonino la pagella, poi l’ha messa davanti al volto del fratello, che seduto sul divano, vedeva il tennis in televisione. Ha preso tutti otto e un sette, e fa il liceo classico.

Mi sono arrabbiata con lei, ho detto che non doveva vantarsi. Matteo ha ricevuto due debiti, e lei lo sapeva, sono a mio parere piuttosto ingiusti, mio figlio aveva la media del 5/6, potevano chiudere un occhio. Quando Marica è uscita, ho parlato a Matteo. Con lui non litigo mai, è un ragazzo calmo, misurato, e molto timido. Gli
ho detto:” tu ti giochi la possibilità di essere felice, nella capacità che hai di lasciare andare via le cose. Senti di aver subito un’ingiustizia, 5/6 non è da rimandare a settembre? Pazienza, non hai mai fatto una sola ripetizione, a differenza di Marica che per latino e greco ne ha fatte. Hai lottato da solo, è più difficile”.

Poco dopo siamo usciti insieme a mangiare il gelato, lui mi ha detto che avrebbe voluto provare a iscriversi a medicina, ma visto che non è riuscito a passare il quarto anno di liceo scientifico senza debiti, figuriamoci il test d’ingresso. Eravamo seduti su un muretto, con il panorama di Roma davanti agli occhi. Mi sono girata verso di lui e gli ho detto: ”Piantala! Tu cominci a smettere di desiderare, ed inizi ad aver paura. La voglia sconfigge la paura, vuol dire che non è veramente il tuo sogno fare il dottore!” Mi ha risposto: ”Certo che lo è, da quando sono piccolo e tu lo sai. Allora ci provo mi prendo un bel po’ d’anticipo, se non riesco però, non rimaneteci male”.

Ha leccato il suo gelato, e si è rimesso a guardare i tetti della città. ”Male ci rimango se non ci provi scemetto!” gli ho risposto con il sorriso.

Tornati a casa abbiamo trovato Marica sul divano, ho letto sul suo volto, come fosse un libro, la parola scusa, nei confronti del fratello. Lui si è seduto vicino a lei a guardare una serie. Erano belli a vedersi, e ho pensato: “Godete la vostra vita, che quest’epoca non è tutta da buttare, e fate bei sogni. Anzi, fateli insieme. Insieme valgono di più”.

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