Provaci, cos’hai da perdere?
· Giudico che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che ce ne lasci governare l’altra metà. Niccolo’ Machiavelli
Pochi mesi fa, sono rimasto sorpreso nel vedere due splendidi campi da basket, in un quartiere periferico a nord della città. Ero andato li perché ho il mio dentista di fiducia. Vedere al centro di quei palazzoni grigi, piuttosto lugubri, tanti ragazzi che giocavano a palla canestro, mi ha riempito di allegria. Mi ha colpito soprattutto un ragazzino, era piccolo di statura, esile, ma correva veloce tra sette, otto giganti. Mi sono ricordato di quando mia madre, durante una vacanza al mare, mi incoraggiò a chiedere se potevo giocare a pallone a un gruppetto di adolescenti. Ero un dodicenne piccolo ed esile, non trasmettevo nessuna fiducia. Mi girai verso mia madre e le dissi: “mamma torniamo all’ombrellone, sono il più basso”, ricordo i suoi occhi seri, e la sua voce: ”magari proprio oggi gli manca un giocatore. Vai. Cos’hai da perdere?”
Per quasi tutta la vacanza rimasi ore sotto il sole cocente, in porta, dove nessuno voleva stare. Ma mi sentivo grande e importante, e spesso mi battevano il cinque, perché impegnavo tutta la mia energia per parare. La sera andavo a letto con le braccia e le mani doloranti, ma terribilmente felice. In terza liceo si è ripetuta una situazione analoga. Erano iniziate le selezioni per uno stage di recitazione, insegnavano due attori famosi. Io dissi a mia madre che era inutile provarci, che avrebbero preso solo i raccomandati. Nella mia classe avevo due figli di politici, un figlio di un noto conduttore, e la nipote di un grosso dirigente. Lei mi disse:”hai di sicuro ragione Edoardo, ma prenderanno anche due candidati non raccomandati. Provaci. Cos’hai da perdere? ”
Non mi presero, ma il desiderio di dimostrare che avevano sbagliato, mi porta ancora oggi cimentarmi in rappresentazioni teatrali, in qualche piccola compagnia.
L’altro giorno ho letto di un concorso interessante, come assistente di laboratorio. Quello che facevo fino a dieci mesi fa, prima che lo studio dove lavoravo chiudesse. In quei giorni ero particolarmente disilluso, e non avevo voglia di provarci. Non avevo più il lavoro che mi piaceva, vendevo cibo per animali per sbarcare il lunario, e con Clara, la mia fidanzata da una vita mi ero lasciato. Durante l’ora di pausa al negozio, ho pensato alle parole di mia madre, al suo:” provaci che hai da perdere?”
Mi sono iscritto al concorso pubblico, poi sono uscito nel piccolo cortile, dove io e il mio collega andiamo a fumare una sigaretta. Mi sono mangiato il mio panino, poi da una finestra hanno mandato la canzone di Renato Zero, che cantava sempre mia madre. Ho preso il telefono e ho pigiato registra: “Forse un giorno scopriremo che non ci siamo mai perduti- E che tutta quella tristezza in realtà, non è mai esistita-I migliori anni della nostra vita-I migliori anni della nostra vita-Stringimi forte che nessuna notte è infinitaI migliori anni della nostra vita”
Appena ho messo stop, mi è arrivata la folgorazione. Mia madre era morta da due anni, per chi registravo?
Ho sentito come una pugnalata dietro la schiena, poi il mio collega mi ha urlato: ”Edoardo la pausa è finita, vieni oggi non mi sono portato niente da casa, vado a mangiarmi una cosa, sto morendo di fame”. Ho preso un lungo respiro, ma il dolore non cessava. Sono andavo a sedermi vicino alla cassa, mentre il mio collega usciva. Alle quattordici il negozio è sempre vuoto, salvo rari casi. Ho preso il telefono e ho aperto un whatsapp di mia madre. Non avevo mai cancellato il suo numero dalla rubrica. Mi tremavano le mani, il telefono mi è caduto a terra, per fortuna non si è rotto. Erano due anni che non riascoltavo la sua voce:” Edoardo, le analisi non sono andate proprio bene. Ma non preoccuparti sono ancora viva! Fai buona vacanza, e ricordati che ti voglio bene”.
Sono scoppiato a piangere, per la sua mancanza, perché tornato dal viaggio in Messico con Clara, lei era già ricoverata. Ho pianto perché mi sentivo in colpa di non aver trascorso più tempo con lei, perché mi mancava, come lo faceva il mio lavoro in laboratorio.
Un nodo alla gola non mi permetteva di respirare, poi è entrata una signora. Devo aver avuto una brutta cera, perché mi ha chiesto se stavo bene. Le ho detto che non riuscivo a respirare, ero in preda a un attacco di panico.
Lei è una pediatra, mi è stata vicina, mi ha preso la mano. Ha tirato fuori dalla borsa una bottiglia d’acqua. Mi ha fatto bere dicendomi :”passa, ora respira”, le sue mani che stringevano le mie, hanno calmato l’agitazione del mio cuore. Poi le ho raccontato che mi era accaduto pochi minuti prima. Lei dopo avermi ascoltato, e rassicurato, ha preso delle scatolette per il suo gatto. La vedevo scegliere tra gli scaffali, girarsi e ogni tanto e sorridermi, ho pensato che non la volevo perdere, e prima che andasse via le ho detto: ”posso chiamarti per dirti quando arrivano le promozioni?”
Lei mi ha risposto: ”certo, volevo chiederti il tuo numero proprio per questo!”
Travolto da un ciclone interiore, non sapevo se la sua risposta era ironica o seria, la guardavo negli occhi e non mi uscivano altre parole. Poi mi ha detto:” allora? ” Io ho bofonchiato qualcosa, e su un foglietto le ho scritto i miei numeri. Lei si è messa a ridere, una risate forte, piena di energia, e mi ha detto: ”bastava solo che me lo dettassi, così lo salvavo direttamente sul telefono”.
Io mi sono sentito un cretino, davanti a lei che mi aveva visto piangere, davanti alla quale ero impacciato, e da subito perdutamente innamorato. Sono sempre stato affascinato dalle donne più vivaci di me, che hanno il senso materno straripante, e bisogni e aspettative reali, quelli che Clara non aveva.
Margherita Seri si chiama la dottoressa, vuole due figli, e una casa in campagna. Oggi è il sesto mese che ci frequentiamo, siamo fidanzati.
Al concorso sono passato. La vita adesso è meno dolorosa, a tratti mi pare addirittura meravigliosa, questo non sarebbe mai accaduto se non ci avessi provato, se non avessi ascoltato gli insegnamenti di mia madre.