E’ Domenica e con gli amici decidiamo di farci un giro in moto…
La storia di un amico.
Quanto sto per raccontare è un fatto vero, accaduto il 18 maggio. Ne ho scritto al mio amico Giorgio per il Centuplo e su un gruppo privato di motociclisti viaggiatori. Spero possa essere una piccola lezione di vita come è stato per me.
Vado in moto da quando avevo 14 anni, ora ne ho 50. Il mio migliore amico è Gianni (non è questo il nome, ma siccome è un fatto personale, cambierò i nomi ma non i luoghi) e abbiamo condiviso tantissimo: il liceo, le gioie, i dolori – anche molto grossi – e le nostre famiglie sono molto legate.
Insomma, è un fratello per me. Gianni non ha avuto la moto per molto tempo finché, nel 2018, ha preso il coraggio a due mani e ha comprato la sua prima cavalcatura, che poi ha tuttora: una Honda VT750 Spirit, una custom. Fino ad allora avevo sempre girato in solitaria ma, un po’ per mostrargli le strade più belle, un po’ per il gusto dell’amicizia, ho iniziato a girare con lui ogni tanto e via via si è creato un gruppo di motociclisti – tutti amici d’infanzia o colleghi – che è arrivato a otto persone, tutte sui 50 e uno junior di “soli” 30 anni. L’ultimo arrivato del gruppo è Fabio, anch’egli amico di una vita che a 52 anni ha preso la sua prima moto, una Voge Valico 525DSX, a dicembre 2023.
Veniamo a domenica scorsa. Si esce in gruppo, itinerario: da Teramo, Passo delle Capannelle, Via del Vasto, ristoro Mucciante a Campo Imperatore e giù verso il pescarese fino a Civitella Casanova per poi riprendere la SS81 verso Penne e da lì a Teramo. Strade splendide che conosciamo tutti, ma per Fabio è la prima volta su due ruote e un vero abruzzese si battezza alle Capannelle e al Mucciante! La regola d’ingaggio è sempre quella: ognuno col suo passo e ci si vede alle varie tappe che sono Capannelle, Fonte Cerreto, Mucciante, Castel del Monte, Carpineto della Nora. Siamo io, Fabio, Gianni, Valerio, anche lui sui cinquanta e motociclista da una vita con una Honda custom, e Piero, lo junior con la terza Honda, una CB500X.
E accade quello che è sempre accaduto quando giocavamo ai videogiochi con l’Amiga a 16anni, a calcetto a 20 anni, alle mangiate, alle gite… Fabio e Gianni “vanno in risonanza”, come dico io, intendendo che riescono di colpo a tirare fuori il peggio di ciascuno dei due. Partono a razzo e Valerio li segue: io e Piero restiamo indietro sia perché con la mia K1200LT non guido esattamente una bici, sia perché quello degli indiavolati non è mai stato il nostro passo. Ok, ognuno va quanto
gli pare ma stavolta chiaramente si esagera. Arriviamo al primo check, le Capannelle, foto di rito e qualche sfottò da parte di Fabio e si riparte con l’idea di rivederci a Fonte Cerreto: vanno avanti Fabio e Gianni come due diavoli, al piccolo trotto Valerio e in fondo io e Piero che ci godiamo il paesaggio della Via del Vasto. Arrivati a Fonte Cerreto, io, Valerio e Piero non troviamo Fabio e Gianni, non ci sono. Ora, va detto che da quelle parti il segnale è scarso sicché i check sono fondamentali per capire se a qualcuno è capitato qualcosa e dar modo agli altri di tornare indietro: saltare una tappa, quindi, è una cosa abbastanza grave perché gli altri del gruppo si preoccupano.
Ma, dopo una decina di minuti di ricerche nei vari parcheggi di Fonte Cerreto, alla fine noi tre ci guardiamo e, sperando che sia andato tutto bene e dopo aver chiesto ad altri gruppi che arrivano se abbiano visto i nostri amici, decidiamo di proseguire per il Mucciante. Arriviamo, e troviamo belli belli Gianni e Fabio che mangiano e bevono alla nostra salute. Non protestiamo, ci godiamo la compagnia ma è evidente che qualcosa nel gruppo non va. Assaggio di salumi, formaggi e pane casereccio, bicchiere di rosso e si riparte alla volta di Civitella Casanova. Valerio per dare una moderata propone di far stare davanti me e Piero (che comunque non è che siamo proprio proprio dei lentoni), io invece ho capito l’aria che tira e dico che chi vuole andare più forte lo faccia, anche se (ma questo me lo tengo per me) francamente mi pare incomprensibile perché quello non è andare forte, quello è andare troppo forte. Manco a dirlo, dopo poco Fabio e Gianni sono già spariti: ci ritroviamo a un bivio vicino Civitella Casanova, con l’intento di trovare un posto per mangiare e lo troviamo con enorme soddisfazione (ma questa è un’altra storia). Dopo pranzo siamo appesantiti dal cibo e dal rosso sicché l’idea sarebbe di riprendere a un passo ragionevole anche perché ormai il giro è fatto e si va per il ritorno. Valerio ricorda a Fabio e Gianni – un po’ scherzando è un po’ no – che sono gli ultimi arrivati e che la ricreazione potrebbe anche essere
finita. Parole al vento: ripartono a scheggia.
E succede.
Curva a sinistra, ampia e con visibilità ma su stradaccia provinciale con asfalto che c’è… ma non si vede. Io vedo tutto perché è in fondo a un rettilineo. Gianni allarga a destra per piegare a sinistra però la moto non piega affatto anzi va dritta e si sdraia sul fianco destro trascinando Gianni fuori strada per diversi metri su quello che pare – io, intanto, mi avvicino riducendo la velocità – un prato. Mi fermo vicino al punto in cui la moto è andata dritta: c’è un tappeto di ghiaino finissimo,
una cosa micidiale. Valerio e Piero, che sono dietro di me, arrivano in un istante, Fabio invece era davanti a Gianni, non si è accorto di nulla e ha proseguito. Gianni è pancia a terra, la testa piegata verso sinistra, poco oltre la moto. Appoggio la K sul cavalletto e con una fatica sovrumana scendo, mi tremano le gambe, il mio amico, mio fratello, è laggiù, per terra e non si muove. Anche Valerio è molto legato a Gianni, parcheggia la sua Honda ma non scende e mormora qualcosa, forse una preghiera, forse una bestemmia. Piero è impietrito, si vedono gli occhi sbarrati dalla visiera dell’integrale, la sua CB500X resta accesa. Tocca a me, mi incammino, supero la Spirit affondata nell’erba e mi avvicino a Gianni che però, in quel momento si muove e si mette seduto a terra dolorante. L’espressione è vuota, stordita: il casco è un modulare e aveva la mentoniera alzata. Non si tocca chi è caduto perciò mi metto a un palmo dal naso e gli chiedo forte come si chiama e come sta: un sonoro “Ma vaffanculo!” scioglie la tensione e tutti ridiamo un po’ istericamente. Piero spegne la moto, Valerio si avvicina, Gianni un po’ dolorante e molto arrabbiato si rialza da solo: le sole conseguenze sono il giubbotto e i pantaloni chiazzati di fango ed erba perché grazie a Dio la moto è planata letteralmente su un tappeto di melma ed erbacce che, se da un lato non l’ha molto rallentata, dall’altro non ha procurato abrasioni o peggio. Dolore al polso destro, per fortuna non ha impattato col corpo contro il manubrio. Si può dire che, se si deve cadere, si dovrebbe cadere su una superficie del genere e in questo modo.
Ma non è questa la sola fortuna di Gianni, c’è altro. Io e Valerio gettiamo un occhio alla traccia che hanno lasciato a terra moto e pilota: la striscia inizia a neppure mezzo metro dall’estremità del guardrail che delimita il lato destro della curva. Se la moto fosse rovinata a terra mezzo metro più a sinistra, Gianni si sarebbe schiantato contro il guardrail, di faccia, con la mentoniera aperta. E oltre il guardrail c’erano diversi alberi. Sarebbe finita molto peggio, forse nel peggiore dei modi.
Un amico fraterno, padre di due figlie, un marito e figlio esemplare, sarebbe morto per cosa? Per cosa sarebbe morto? A che sarebbe servito? Che bisogno c’era, che senso aveva? Qui non si tratta di fare tirate moraliste, si tratta di comprendere il senso delle cose.
Rialziamo la moto, in tre è facile mentre molto più difficile è riportarla sulla carreggiata da quella specie di pantano di terra umida ed erba ma ce la facciamo. Gianni sta in disparte ancora un po’ scosso ma si sente benino e vuole ripartire, la Spirit funziona e ha solo una freccia piegata. Aspettiamo una manciata di minuti in silenzio, qualcuno fa qualche battuta per alleggerire, qualcuno ride, qualcuno no. Arriva Fabio che finalmente si è accorto che non c’era più nessuno
dietro di lui. Siamo tutti al lato della strada, perciò chiede “Ma che è successo?”
“E’ caduto Gianni”, rispondo io.
“Gianni?” chiede incredulo.
“Sì, Gianni” chiude Valerio con un tono cupo che dice tutto.
Fabio ammutolisce, Gianni riparte con noi e si va tutti al piccolo trotto fino a casa senza dire una parola. Per riempirmi la testa accendo la radio della K1200: da quando ce l’ho, è la prima volta che lo faccio. Ne sono certo, tutti stanno ripensando a quello che era accaduto e soprattutto a quello che poteva accadere. Abbiamo la fortuna di poter fare a cinquant’anni quello che facevamo a venti: non abbiamo perso le passioni, non abbiamo perso gli amici. E’ un dono che non è dato a tutti: perché gettarlo via?
Da un amico Motociclista