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Intervista alla dott.ssa Valeria Terzi sulle Cure Palliative

In preparazione al programma di Radio Mater “Felici Come una Pasqua” abbiamo intervistato la dottoressa Valeria Terzi (specialista in anestesia e rianimazione, impegnata quotidianamente nella Terapia Intensiva dell’ospedale Niguarda)

  1. Perché parlare di felicità e cure palliative (CP)? Perché le CP hanno lo scopo e sono in grado di riportare serenità, sorriso, pace. Perché le CP sono il contrario dell’abbandono anzi sono la presa in carico quando sembra che l’orizzonte si chiuda. Ed in questa settimana a me viene cara l’immagine di Gesù sulla croce, un po’ solo, quasi tutti se ne vanno tranne sua madre e l’apostolo Giovanni…ecco loro sono i primi palliativisti della storia: loro restano quando c’è sofferenza e trasformano la sofferenza in vicinanza, in solidarietà, in empatia, in umanità.
  • Cosa sono le CP? Partiamo da cosa non sono: non sono disperazione, non sono Morfina ed eutanasia, non sono la falce sulla schiena dei medici, non sono “allora non c’è più nulla da fare”, non sono la fine della vita. E cosa sono: sono la vita alla fine. Sono un tentativo di dare dignità al tramonto, guardando l’ultimo sole con il giusto paio di occhiali che medici ed infermieri aiutano ad indossare.
  • Da dove arrivano? La tradizione cristiana ci ha tramandato la storia di San Martino, nato nel 317 in Sibaria (attuale Ungheria), ma ben presto trasferitosi con i genitori a Pavia, dove venne presto educato a diventare un soldato dell’esercito romano. Martino fece carriera nelle armi e rimase nell’esercito per oltre 20 anni. Solo all’età di 40 anni decise di farsi monaco, lasciando definitivamente la vita militare. Nel 371 divenne vescovo di Tours e morì l’08 novembre 397, ma solo tre giorni dopo, l’11 novembre appunto, la sua salma raggiunse la città del suo vescovato. San Martino è da sempre ricordato per la sua grande generosità, in particolare per la sua protezione nei confronti delle classi sociali più povere. C’è un aneddoto della sua vita che ci riconduce al termine “palliativo” e che può spiegare perché la Giornata Nazionale delle Cure Palliative ricade proprio nel giorno dedicato a questo Santo. L’aneddoto riguarda la leggenda del mantello di San Martino, secondo la quale Martino, quando era ancora un soldato, non esitò a tagliare con la spada il suo mantello per donarne una metà ad un povero viandante; il mantello che viene donato è il simbolo della protezione, dell’interesse, della vicinanza a chi si trova in una condizione di fragilità, di vulnerabilità. Un aspetto importante è la metà del mantello che rimane nelle mani di Martino, il santo infatti non regala tutto il mantello la povero fratello ma dopo aver tagliato il suo mantello, una metà decide di donarla, una metà decide di tenerla. Ecco la metà che viene trattenuta ci ricorda che anche noi operatori sanitari abbiamo bisogno di tutela, di confort, di un nido sicuro in cui poter a volte veder il nostro lavoro soprattutto se e quando siamo così tanto vicino al dolore altrui.
  • Quale la definizione scientifica, quale il loro campo? L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) definisce le cure palliative come un approccio in grado di migliorare «la qualità della vita dei malati e delle loro famiglie che si trovano ad affrontare le problematiche associate a malattie inguaribili, attraverso la prevenzione e il sollievo della sofferenza per mezzo di una identificazione precoce e di un ottimale trattamento del dolore e delle altre problematiche di natura fisica, psicosociale e spirituale». Tre sono i concetti chiave in questa definizione. Primo concetto importante: le malattie a cui si rivolgono le CP sono malattie inguaribili ma non incurabili. Questo perché di fatto le malattie incurabili non esistono. La differenza tra I CURE ed I CARE è tutta qua: io posso prendermi cura di te anche quando l’obiettivo non è più la guarigione. Ed insieme spostiamo gli obiettivi, insieme decidiamo gli obiettivi nuovi. Perché una cosa è certa: io non ti abbandonerò mai. Obiettivi nuovi possono essere controllare meglio il dolore, andare a fare la spesa al mercato, organizzare una merenda con i nipoti, scegliere il menù per Pasqua e fare che qualcuno lo realizzi. Secondo concetto importante: la presa in carico del paziente deve essere precoce ossia le CP non dovrebbero essere rilegate alla fase terminale della vita, quella degli ultimi 3-5 giorni per intenderci. Questo perché negli ultimi giorni è tutto più difficile: a volte non è più possibile far uscire le parole e capirsi diventa faticoso. A volte ci sono delle questioni importanti che non andrebbero lasciate sospese come un lascito testamentario. E quindi è vincente conoscere, accogliere pazienti e famiglie quando ancora si possono costruire relazioni e ponti funzionali. Terzo concetto caro alle CP, la presa in carico del paziente e delle famiglie è globale. I palliativisti guardano poco la malattia e molto il malato, nella sua interezza. Tutto è importante: il dolore, la fame, la sete ma anche la paura, la consapevolezza, la richiesta di spiritualità, la visione del dopo, i carichi della famiglia.

Descritte così, le Cure Palliative sembrano una disciplina medica dedicata alla compassione e poco altro. Invece con un lavoro famoso uscito già nel 2010 nel prestigioso NEJM, la letteratura ha dimostrato che le Cure Palliative precoci riescono ad ottenere 4 outcome: 1) migliorano la qualità della vita dei pz 2) diminuiscono i sintomi depressivi dei pz 3) riducono gli interventi aggressivi nelle ultime ore di vita del malato come inutili corse al pronto soccorso 4) allungano la sopravvivenza.

  • Quando e dove nascono le Cure Palliative? Le CP nascono in GB ad opera della dottoressa Cecile Sanders. Da una famiglia agiata nel 1918 nasceva a Londra Cicely Saunders il cui nome è sinonimo della nascita delle cure palliative moderne a partire dal movimento hospice. Cicely Saunders lascia gli studi di economia per diventare infermiera, entra in corsia durante la seconda guerra mondiale, ma i dolori alla schiena le impediscono di continuare. Tornerà più tardi in ospedale come assistente sociale, ed è qui che medita sulle cure palliative. Decide di diventare medico e di prendersi a cuuore i malati inguaribili, i malati con il dolore totale che era soprattutto fisico oncologico ma non solo (poteva essere anche psicologico dopo i traumi della seconda guerra mondiale). Inaugurato nel 1967, il St Christopher di Londra è il primo hospice nel senso moderno del termine, un luogo nel quale al malato terminale è riconosciuta una dignità specifica. Anche quando la malattia è incurabile, la cura continua, la sofferenza può essere mitigata e alla dimensione interiore (psicologica, intellettuale, spirituale) vengono riservate attenzioni non inferiori a quelle destinate al corpo. In un hospice non si guarisce, ma non si resta mai soli. Esistono diversi libri su Cicely, uno è Di cosa è fatta la speranza: è un testo autobiografico ma con aggiunta del metodo scientifico. A Cicely va il merito di aver creato le CP copme disciplina medica, non come insieme di buoni sentimenti. Le CP devono rispondere a dei requisiti di formazione e di outcome, in altre parole allora ed adesso devono aver degli obiettivi chiari.
  • Ed in Italia? in Italia le CP nascono soprattutto in ambito oncologico perché diventa sempre più chiaro intorno agli anni ’80 che i tumori sarebbero diventati malattia democratiche, diffuse e magari anche a lunga prognosi. In Italia la legge xhe regolamenta la nascita, la creazione, la gestione delle CP e’ la Legge 38 del 2010. Ad oggi in Italia ci sono circa 230 hospice, il fabbisogno italiano di malati terminali eè di circa 150.000 all’anno. Di questi, il 30% viene coperto dalle CP. Il resto non accede alle CP per ragioni idverse prima fra tutte la non informazione tra i sanitari.
  • Quale filosofia o meglio quale paradigma sta sotto le Cure Palliative? La filosofia delle CP è basata sulla passione per l’umano che deve essere trasversale ed universale. Ma che ben si sposa con il pensiero cristiano. Nel catechismo agli articoli 2278 e 2279 si affrontano le cure dei malati inguaribili e si affermano due cose importanti: cioè che non migliora la prognosi ossia ciò che non è appropriato deve essere evitato, inoltre quando la malattia diventa inguaribile le CP sono una forma privilegiata di carità. E si inserisce in questo ambito il discorso di papa Francesco del 2017 al Word Medical Association in cui dichiara che “E’ lecito sospendere le cure se non proporzionali”.
  • Da un punto di vista pragmatico come si erogano le CP? Da un punto di vista pratico le CP possono essere erogate in tre setting diversi: in ospedale sotto forma di ambulatorio denominato Cure Simultanee, a domicilio oppure in Hospice. Brevemente possiamo spiegare questo: in ospedale le cure simultanee sono cure della persona e della famiglia mentre risultano ancora attive quindi in corso le cure anti tumorali come chemio e radio. Spesso nell’ambulatorio delle cure simultanee si aita il paziente a sopportare gli effetti collaterali della chemio. Quando il tumore invece avanza nonostante la chemio e gli oncologi decidono di sospendere le terapie, il pz non viene abbandonato ma al contrario deve essere tenuto e contenuto dalla rete delle CP. L’equipe può andare a domicilio per tutto il tempo che resta e curare i sintomi, aiutare a sistemare le cose della vita e parlare di morte. In alternativa, quando non è possibile restare a casa perché la famiglia è fragile, allora si opta per il ricovero in hospice. L’hospice è un reparto ma non è un reparto: è un luogo dove tutto dalle terapie, agli orari agli arredi alle attività, ogni cosa è èpensata per mettere al centro il malato ed i suoi bisogni.
  • Alla fine cosa troviamo dentro le Cure palliative secondo te Valeria?

—> verità: la verità assoluta ossia il nome della malattia e la sua prognosi, sono cose che il pz acquista ossia impara a conoscere. Il pz ha la malattia dentro per cui non ha bisogno che qualcuno menta. Sicuramente ha bisogno di essere informato e deve essere informato bene per poter scegliere a quali trattamenti sottoporsi. L’informazione onesta e dettagliata ma mai crudele ed asettica trova regolamentazione nella legge 219 del 2017. Il pz va informato e poi va sostenuto. Esiste quella che noi chiamiamo la sedia che scotta ossia la sedia su cui ci sediamo per parlare ma soprattutto per rispondere a volte per tacere. L’importante è sedersi ed esserci. La verità con cui il pz si confronta non è solo la diagnosi di cancro ma è l’impatto che questa diagnosi porta nella sua vita. E’ vero che le vite cambiano. E’ vero che questo fa paura. Ma è anche vero che si può accompagnare e rendere il tempo della vita che finisce un tempo meritevole.

—> dignità: concetto difficile da spiegare che non deve essere confuso con qualità. La dignità di vita è il possedere un motivo per vivere, è avere un manifetso per cui vale la pena respirare e mettere un passo dopo l’altro, anche quando traballi, anche quando hai un bastone, anche quando hai un sacchetto in pancia per l’intestino, anche quando sei inchiodato su una poltrona, anche quando sbavi saliva.

—> speranza: è un bene inalienabile. Avere speranza vuol dire sospendere l’incredulità. I malati sono dei professori di speranza perché loro sperano in cose diverse dalla guarigione. Loro sperano in tempo buono, in giornate senza dolore, in 5 minuti con figli e nipoti, in un gelato fresco, in un pò di salsedine sul viso.

Grazie Valeria!

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