cultura

La storia “giusta” di Palmina

La storia di Palmina Martinelli è una storia sbagliata. Lo è fin dal principio, da quella famiglia che oggi di definiremmo gravemente trascurante e maltrattante, è sbagliata da quel provvedimento che collocava Palmina al sicuro in un istituto educativo assistenziale ma che non fu mai applicato. È sbagliata per le possibilità negate a questa ragazzina che, a neppure 15 anni, si è trovata davanti a un bivio: o prostituirsi, come già sua sorella maggiore, o morire.

La storia di Palmina non è successa secoli fa ma nel 1981, non è successa all’altro capo del mondo ma a Fasano, in Italia, in provincia di Bari. La storia di Palmina ce la racconta Mario Gianfrate, storico di Locorotondo, vicino a Fasano, ed ex professore “di frontiera” che conosceva Palmina e la sua famiglia, almeno di vista, e che ci racconta di avere provato invano a distogliere il fratellastro della ragazza dalla cattiva strada, coinvolgendolo nella squadra di calcio che allenava e di aver incontrato i familiari di Palmina in bar poco prima della tragedia.

Tutto sbagliato fin qui, tutto da buttare, comprese le assurde assoluzioni di coloro che Palmina, sul letto di morte, aveva indicato come i suoi assassini. Una tragedia senza senso se fosse finita qui ma qui non finisce.

Qui inizia la parte della storia “giusta”. La “storia giusta” è Giacomina, la sorella di Palmina appena un anno più grande di lei, che lotta per trent’anni per avere la riapertura del processo. È una donna semplice, Giacomina, scappata di casa per sfuggire a un destino analogo alle sue sorelle e stabilitasi a Napoli, appena adolescente, per lavorare come donna di servizio. Una donna senza grandi studi e con pochi mezzi economici. Racconta lei stessa a volte di avere vinto al lotto soldi che le servivano per pagare gli avvocati e andare avanti nella causa perché altrimenti non li avrebbe avuti. Eppure una donna instancabile che ha lottato per restituire dignità e giustizia al nome della sua sorellina. È una “storia giusta” quella che ci racconta Mario Gianfrate che non è riuscito a suo tempo a cambiare il fratellastro di Palmina ma che ha contribuito a ridare verità alla vittima.

Ne abbiamo parlato con Ebano Onlus l’8 marzo presso il Centro Asteria di Milano, centro da sempre in prima linea per i progetti di “giustizia riparativa” con due relatori come Edmondo Capecelatro, avvocato ed ex vice questore, e  Andrea Bienati, docente di restorative justice, cercando di comprendere come sia stato possibile tutto questo e quale appunto possa essere lo spunto di riparazione.

In questo 8 marzo di mimose e di “nuovi diritti” abbiamo parlato di un diritto vecchio e forse un po’ demodé: quello appunto all’esistenza dignitosa.

Abbiamo voluto ricordare quale inferno possano produrre la mancanza di opportunità, di alternative, di istruzione e soprattutto di solidarietà sociale. Palmina era invisibile. Lo è stata per le istituzioni che non si sono preoccupate di eseguire i loro stessi provvedimenti, lo è stata per la giustizia che non ha voluto credere alle sue ultime parole mentre era agonizzante ma ha ripreso interezza e visibilità nella lotta della sorella e nel lavoro di Mario.

Un lavoro enorme che non potrà comunque portare in carcere i responsabile di questo orrendo delitto perché già assolti nel primo processo. Che senso ha allora tanta strada, tanta fatica? Ha il senso di un’altra espressione demodé: rendere giustizia. Che cosa significa rendere giustizia a una vittima? Che senso ha combattere per stabilire un principio destinato a rimanere tale? Ha il senso della foto (l’unica esistente) di Palmina proiettata nelle scuole, giovane martire della dignità. Ha il senso di Mario che si commuove ma racconta questa storia ancora ancora e ancora, la storia di una morte ma di una memoria viva. Ha un senso impalpabile eppure infinito. Come spesso è il senso del bene. 

Michelangela Barba

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *