La manifestazione – un racconto di Benedetta Bindi
“Amo in te l’audacia dei giocatori delle grandi scoperte, amo in te le cose lontane, amo in te l’impossibile”. Nazim Hikmet
La scorsa mattina, mi ero vestito con la mia felpa blu, quella che piace tanto a Margherita, poi ho indossato il mio piumino rosso e sono corso in strada. Ero in ritardo, correvo, volevo passare al bar per prendere il cornetto vegano ai mirtilli, quello che piace tanto a lei. L’ho comprato e sono uscito tenendo il sacchetto ben stretto. L’indice, l’anulare e il pollice, stretti come pinze si appiccicavano alla carta, come due innamorati. Mi sudavano le mani. Ero maledettamente emozionato. Non ero mai stato a una manifestazione. Io ho la fobia per i luoghi dove c’è tanta gente, io sono un ”nerd”, un tipo di quelli che parla poco, e si sente sempre inadeguato.
Prima di conoscere Margherita, avevo più dimestichezza con i computer che con gli esseri umani. Per questo l’idea di stare in mezzo ad un corteo, mi agitava. Avevo obbedito a lei senza saperlo dicendole :”sì, vengo alla manifestazione”, mentre lei mi guardava felice con i suoi occhi grandi. Lei mi ha scelto, lei mi ha invitato al cinema, mentre io ero seduto sul muretto del cortile del liceo, a guardare il telefonino, cosa più facile che giocare con i miei compagni a pallone. Lei mi ha baciato per prima, e trasportato nel suo mondo, così differente dal mio. Più luminoso, dove non piove mai, e si scherza spesso.
Ho cambiato le mie abitudini in breve tempo, ma non pensavo di trovarmi in un corteo di persone, che urla per rivendicare le proprie idee. Le mie le ho sempre avute, magari anche scritte, ma certo non urlate. Così tre giorni fa ho seguito la mia ragazza, in quella che per me era un’avventura, e per lei invece una delle tante manifestazioni alle quali partecipava. Avevamo appuntamento con un gruppo di suoi amici. Arrivati lei si è messa a confabulare con loro, per decidere da dove partire, dove fermarsi ecc. Poco dopo si era messa in prima fila al corteo: per me era troppo, mi sono messo alle sue spalle. Lei Giovanna D’arco, io il suo angelo custode. Tutti i ragazzi avanzavano in modo pacifico. Poi al momento di attraversare il ponte, una moltitudine di poliziotti è arrivata a sbarrare la strada. Alcuni manifestanti, sono andati a parlare con le forze dell’ordine per esporgli la volontà del corteo di proseguire. Nel frattempo ho notato una camionetta che arrivava dal lato opposto. Ne ho dedotto che avevano chiuso l’uscita dietro di noi. A me è iniziato a mancare il respiro, mi sono sentito come l’interno di un hamburger senza altra possibilità, tranne quella di essere masticato. Ho alzato le braccia, mi sarei fermato, ma tutti avanzavano, il mio immobilismo è durato pochi secondi. Ero come una bottiglia di plastica dentro un torrente, che si muove veloce portata dalla corrente. Margherita, in prima fila, andava incontro ai suoi carnefici, con coraggio, distacco e una certa dose di follia.
Mi sono avvicinato al suo orecchio e le ho detto: ”Andiamo via, questi ci carica…”
Non ho fatto in tempo a finire la frase, che è scoppiato il putiferio. Spinte, botte, manganelli. Ad un certo punto ho visto un poliziotto bloccarla al muro. Faceva pressione sul suo collo con il gomito, un gioco che mio fratello, di tre anni più grande, faceva con me quando si faceva la lotta. Ma l’uomo con il caschetto non scherzava, e spingeva sempre più forte la mia ragazza, avevo paura la soffocasse. Mi sono detto: “lo faccio” e ho fatto uno scatto in avanti, come fa il mio gatto quando punta una preda. Qualcuno di veramente forte, mi ha sollevato da dietro, come fa mamma gatta con i cuccioli, e mi ha dato due o tre manganellate: “di santa ragione”. Come diceva mia nonna, quando prendeva il battipanni, e lo faceva finire sul sedere mio e di mio fratello, quando combinavamo qualche guaio.
Poi il poliziotto mi ha gettato sul ciglio del marciapiede, come fossi un sacco della spazzatura. Come se avesse capito anche lui, che in quel casino stonavo, come fossi peperoncino sulla pasta cacio e pepe. Per terra, dolorante, urlavo il nome di Margherita. Lei è sbucata all’improvviso. Aveva segni rossi sulle braccia, sul collo e zoppicava. Mi sono alzato di scatto e l’ho portata lontano da lì. Per la prima volta ero io a indicare in che direzione andare. Lungo il fiume ci siamo abbracciati stretti, come fossimo una cosa sola. Poi lei ha iniziato a piangere piano, poi a singhiozzi. Io le ho detto che era stata coraggiosa. Per farla ridere me ne sono uscito con una battuta colta: “Sembri Ulisse quando pianse nel sentire cantare le gesta sue, e degli altri Greci a Troia”.
Poi le ho indicato una piccola chiesa bianca, con punte che sbucavano da ogni dove, come fosse un missile pronto a decollare in cielo. ‘E così bella e piccina da sembrare dipinta. Ho preso tutto il mio coraggio e le ho detto: “un giorno io ti sposerò lì dentro. Cadesse il mondo ma io lo faccio”.
A lei è tornato il sorriso e si è asciugata gli occhi. Subito dopo ha ricevuto la telefonata di sua madre, preoccupata per aver visto un video, nel quale la polizia caricava il corteo. Così ci siamo salutati e ognuno è andato a casa propria. Io non sono stato chiamato nessuno, mia madre non immaginava minimamente che invece di andare a scuola, avevo scelto di partecipare a una manifestazione.
Arrivato a casa ho sentito il bisogno di farmi una doccia. Poi mi sono guardato allo specchio, secco rifinito, lungo come un cipresso, con le ossa sporgenti e la pelle bianca e tesa coperta di lividi, per le tante manganellate. Non provavo rabbia, ma stupore. Ho messo della pomata, massaggiavo i punti e in quel momento ho capito cosa si doveva provare a fare a botte. Io che a calcio le poche volte che ho giocato, mi sono messo sempre in porta, per non prenderle. Io che al luna park, non sono mai salito sugli autoscontri. Un gioco che ho sempre trovato inutile e terrificante. Poi mi sono steso sul letto, e mi sono addormentato di colpo, sopra la coperta, in mutande. Mi ha svegliato l’urlo di mia madre: “Damiano ma che hai fatto?!” Lei non è come la mamma di Margherita, che se non era al lavoro, magari si sarebbe unita anche lei al corteo. Per lei ogni cosa è sovversiva, una parolaccia, un orecchino, per non parlare dei tatuaggi e dei capelli rasati. Mio padre, anche se per natura sarebbe più aperto, si appiccica alle convinzioni di sua moglie, e le fa sue. A mia madre ho detto la verità, altrimenti avrei dovuto dire che ero stato aggredito visto com’ero ridotto. Lei si è gonfiata al punto che l ‘ho immaginata trasformarsi in un pacman, quella sfera gialla di un videogioco che mangia tutto ciò che trova. Stavo per essere ingoiato da lei. Si è avvicinata al mio letto, e mi ha detto: ”Ascoltami”.
I suoi occhi erano due proiettili, che mi avrebbe conficcato felicemente nella carne, se ne avesse avuto la possibilità: “Tu non sai cosa vuol dire essere fuori dalla legalità, non lo sai perchè io e papà ti abbiamo campato fino ad ora. Quella era una manifestazione non organizzata hanno detto, e tu per seguire quella ragazzina hai rischiato di farti rompere le ossa o anche di finire in prigione. Ma che fine vuoi fare?”
Drammatica come sempre, le vedevo la fronte corrugata, pallida, e sudata alle tempie. Le volevo bene, da sempre e per sempre, ma mi appariva terribilmente ridicola e ho dovuto trattenere il riso. Le ho risposto: “Mamma, si manifestava per un ideale di libertà, di pace, ti pare poco?”
Lei ha ripreso furiosa: “Dici solo frasi riportate, non sai niente di niente, fino all’altro giorno nemmeno guardavi il telegiornale”.
Io ho preso un gran respiro e le ho detto: “Mamma corteo organizzato o meno, cosa cambia, io ti dico solo che non si picchiano dei ragazzi alla schiena mentre provano a scappare per il solo gusto di farlo”.
Lei è rimasta in silenzio, mi ha guardato e poi ha chiuso la porta della mia camera, lasciandomi solo con i miei pensieri. Io sono entrato dentro il letto, sentivo freddo forse mi era salita anche un poco di febbre, ma ero felice. Non mi sentivo più una piuma che va dove il vento la muove, no, ero diventato un uccello, che sceglie lui che corrente prendere per volare. Ho preso il telefono e poco dopo ho mandato un messaggio a Margherita: “Come stai? Stai leggendo già i vari commenti ? se ne parlerà per molto tempo della manifestazione di oggi” poi ho riposto il telefono sul comodino, e ho sentito un dolore tremendo al braccio. Mi sono sentito invecchiato di trent’anni, ma dentro di me ho detto: “ne è valsa la pena”.
E mi sono immaginato fluttuante nello spazio, vestito da astronauta mentre tengo per mano Margherita sorridente, dietro di noi un corteo balla, mentre canta nell’universo: ”pace!
Le stelle intorno a noi ci scortano tenendo in mano fucili, dai quali spuntano fiori. Sarebbe bello, sì, sarebbe bellissimo se accadesse davvero.