Che cosa rappresenta un figlio nella vita dei suoi genitori. Riflessioni sulla denatalità
Oggi a Bologna, in occasione degli Stati Generali della Natalità, risponderò alle domande degli studenti delle scuole superiori e dell’Università sulla fatica che oggi tutti fanno nell’immaginarsi genitori nel proprio percorso di vita. Essere genitore è l’esperienza umana più complessa e completa che un essere umano possa vivere. Risponde alle richieste evolutive della specie che chiede a chi viene al mondo di dare vita alla generazione che gli succederà. Ma risponde anche ad un bisogno profondo dell’essere umano: chi è genitore sa quanto un figlio chiede e quanto un figlio dà alla vita di chi lo mette al mondo. I motivi della denatalità che affligge la nostra nazione (ma non solo) sono molteplici: la crisi economica, la precarietà dei progetti professionali, la dipendenza prolungata dalla famiglia d’origine, lo scarso sostegno che le nuove famiglie ricevono dallo stato, i costi enormi che devono essere sostenuti quando nasce un figlio.
Questo elenco riguarda le cosiddette cause esterne, ovvero tutte quelle variabili che dipendono da ciò che sta fuori di noi. Poi ci sono le cause “interne”, ovvero il modo in cui noi parliamo di noi stessi a noi stessi, il modo in cui “ci pensiamo”, il progetto di vita a cui decidiamo di aderire e dare forma: immaginarsi genitori comporta imparare a de-centrarsi. Mettere al centro della propria vita l’idea di “noi” come prevalente sull’idea di “Io”. Generare figli significa coltivare speranza e dotarsi di un’idea di futuro che va oltre i nostri limiti temporali e progettuali.
E’ difficile comprendere appieno quando la narrazione collettiva sulla genitorialità si è così modificata da rendere l’idea di un figlio simile all’esperienza del passaggio a livello che ti ferma e ti lascia sospeso. Per molti, tra l’altro, sembra che quel passaggio a livello non alzi mai la sbarra e quindi ti inchioda ad un’immobilità senza sbocco. Certo, un figlio è anche un passaggio a livello. Ma è pure tantissime altre cose. Piene di significato.
E’ vero: essere genitori comporta anche molto sacrificio. Ma come ho scritto più volte, anche su questa pagina, sacrificio oggi viene declinato soltanto nell’accezione di “perdere in modo irrimediabile e faticoso” qualcosa di cui avresti pieno diritto. Nel termine “sacrificio” io invece colgo l’origine etimologica di questa parola: ”fare sacro”, ovvero andare oltre il proprio limite, alzare lo sguardo verso qualcosa che è più grande di noi. L’esperienza di un figlio rende la vita più “grande”. Non è obbligatorio ed è un diritto di ciascuno scegliere di diventare o non diventare genitore. Ma oggi più che mai è davvero fondamentale che gli esseri umani riflettano sul modello di felicità che viene loro proposto e quasi imposto: una felicità da avere, da consumare, da riversare sulla costruzione di un “IO” sempre più solo e iperconnesso. Serve una nuova cultura del “NOI”.
L’articolo completo, da condividere eventualmente con altri genitori ed educatori, lo trovate al link associato a questo post. Il dibattito è aperto.