Mercoledi delle ceneri: nel Mistero buona Quaresima
“ Finché avete il mistero avete la salute: distrutto il mistero è distrutta la salute” avvertiva Chesterton.
Il mistero ci mette al riparo da una delle malattie più perniciose che possa colpire un uomo: il tedio. Ci siamo ritrovati a percorrere questa incredibile avventura della vita, a gestire questo patrimonio di inestimabile valore, senza averlo chiesto. Un dono, il caso o una condanna?
Dobbiamo far fronte a mille incombenze – mangiare, bere, studiare, lavorare – che, però, anche ci danno gioia. Abbiamo lentamente imparato a capire, riflettere, ragionare.
La vita è una caccia al tesoro che, nascosto in mille, inesauribili filoni, ci tiene svegli, attenti, motivati. Un augurio da fare a tutte le persone è quello di essere curiose. Come gli archeologi, gli speleologi, gli astronauti, gli alpinisti, gli innamorati. Augurare loro di avere lo stesso coraggio di chi scende nelle viscere della terra, si fa catapultare nello spazio, si arrampica sulle vette, penetra nel cuore della persona amata.
Per farlo, però, occorre essere umili, farsi piccoli, riconoscere di essere solo dei poveri ignoranti di fronte alla grandezza in cui siamo immersi. Solo il mistero ci mette al riparo dal non senso, dal trascinare una vita piatta e ripetitiva.
Il mistero ci salva.
Potrebbe essere questa una di quelle notizie che gettano un po’ di luce sui grovigli dell’esistenza. Una sorta di vangelo. In questo nostro mondo, zeppo di anfratti da esplorare, vette da scalare, galassie da studiare, il primo, grande, immenso mistero siamo noi stessi.
L’uomo è una meraviglia. Non tutti e non sempre se ne accorgono, purtroppo. Per farlo devi rallentare il passo, fermarti, fare silenzio, non lasciarti risucchiare dall’abitudine.
Siamo miliardi di essere umani, tutti unici, tutti irripetibili, tutti incredibilmente belli.
Miliardi di misteri che s’incontrano, si scontrano, s’intrecciano nel loro peregrinare. L’uomo vuole capire, ha bisogno di capire, deve capire. Il tempo che ha a disposizione – una manciata di anni – non è poi tanto.
Deve darsi da fare. Come un bambino rompe il giocattolo e ci guarda dentro. Che grande, l’uomo. Ha spaccato l’atomo, è arrivato sulla luna, ha misurato il sole, ha dichiarato guerra alle malattie; purtroppo, sovente, ha fatto guerra anche ai suoi fratelli. Ed è stato orribile.
Ha capito di poter fare a meno di tante cose ma non della compagnia di amici, vicini, colleghi, fratelli; della loro comprensione, del loro amore. L’amore: ecco un altro mistero incastonato nel mistero. Perché m’innamorai di te? Non eri la più bella, la più ricca, la più intelligente, ma sei tu quella che amo.
Tra le esperienze più esaltanti dell’essere umano c’è quella di donare vita ad altre vite. Li chiamiamo “figli”, queste creaturine scoccate da noi. Noi, che non siamo capaci di produrre un moscerino, abbiamo creato altri esseri umani.
Ci sarebbe da impazzire.
Neonati, quindi indifesi, incapaci di badare a se stessi. Fragili come una sottilissima lastra di cristallo, forti come una montagna di marmo. Tra loro e chi li ha messi al mondo si è creata da subito un rapporto originale che li accompagnerà per il resto della vita, un affetto particolare, un amore unico.
La donna che ci portò nel grembo sarà per sempre nostra mamma, l’uomo nostro padre. Il figlio uno specchio in cui ti specchi.
Non lo vendi, non lo regali, non lo abbandoni, il figlio. Lo accogli, lo tieni con te, lo proteggi, lo aiuti a crescere, lo ami. È tuo e non è tuo. È parte di te, ma non sei tu. Verso di lui hai tanti doveri e pochissimi diritti. Lo guardi, lo contempli, lo interroghi. Hai paura di fargli male, che si faccia male, che gli facciano del male.
Un figlio ti trasforma la vita. Al suo confronto tutto diventa piccolo. Vive da poche ore e ti sembra di conoscerlo da sempre. È appena arrivato e già non ne puoi più fare a meno.
Un mondo senza bambini sarebbe tristemente e impietosamente destinato all’estinzione.
I bambini, le loro grida, i loro capricci, la loro fragilità, i loro problemi, i loro giocattoli, i loro egoismi, le loro piccole scoperte, le loro domande, sono la linfa della terra.
Sono il mistero di cui assolutamente non possiamo fare a meno. Ma deve fare i conti, l’uomo, con un altro insidioso nemico: l’abitudine. Quella strana capacità, cioè, di bendarsi gli occhi, tapparsi le orecchie e il naso e non stupirsi più. Di ritenere che tutto gli sia dovuto, che tutto sia “normale”, che tutti – anche Dio – gli siano debitori.
L’abitudine gli ruba la capacità della contemplazione, della riconoscenza, della gratitudine. Della meraviglia. È incredibile come riesca a fare l’abitudine a tutto, l’uomo. Propedeutica e alleata della noia di cui, però, ha il terrore e dalla quale tenta di difendersi. Per tenerla a bada, ha inventato mille accorgimenti, alcuni buoni e benedetti, altri palesemente falsi, rischiosi, bugiardi.
Droga, alcol, “gioco” d’azzardo, tradimenti, potere, denaro, sono solo alcune di queste menzogne cui si sottomette. Bugie simili all’acqua di mare: più ne bevi più aumenta la sete. Purtroppo, i maestri che occupano le cattedre non sempre sono all’altezza delle altissime lezioni da tenere ai giovani.
Un bambino che si va formando nel grembo di una donna – invocando solo la carità di essere lasciato in pace per pochi mesi – è il più grande mistero di cui necessita questa nostra bella e contraddittoria umanità per non morire, non invecchiare, non annoiarsi, non annientarsi.
Un invisibile, prezioso concentrato di vita, di futuro, di bellezza. Uccidetelo e avrete ucciso voi stessi. Gettatelo nella fogna e vi trascinerà con sé. Quarantadue milioni di aborti nel mondo nell’anno che è passato sono una cifra spaventosa per tutti, credenti e non credenti.
Come è stato possibile? Dove è andata a nascondersi la pietà? È morta? E chi l’ha uccisa?
Quel bambino che non avrebbe voluto morire ero io, eri tu, era la mia mamma, la tua mamma. Eravamo noi che invece fummo accolti, amati, coccolati.
In questi anni decine di bambini che stavano per essere abortiti hanno visto la luce, grazie all’aiuto della nostra parrocchia.
Rivedo gli occhi delle loro mamme impaurite (poche volte quelli del babbo), l’abbraccio sincero delle nostre volontarie, gli incontri, le preghiere, gli incoraggiamenti, gli aiuti concreti.
Poi, un sospiro di sollievo: nascerà.
Rivedo la loro immensa gioia nel giorno del Battesimo. La riconoscenza per chi le ha aiutate a non cedere alle grinfie della morte, a fidarsi della bellezza della vita.
Nacquero. Sono vivi.
Uno spettacolo. Più belli di tutte le opere d’arte realizzate da quando esiste il mondo. Sono vivi. Vivi. Felici di calcare questo granello di sabbia che chiamiamo terra. Presto daranno vita ad altre vite. Li vedo spesso, in chiesa, in oratorio, per la strada, e sempre mi commuovo.
Alcuni, piccoli, in braccio alle mamme, o che sgambettato sereni; altri ormai adolescenti, giovanotti, signorine.
E la mia mente, inebriata dal mistero, vaga.
Buona Quaresima.
Padre Maurizio Patriciello.