Le cose giuste – un racconto di Benedetta Bindi
“La mente dell’uomo mediocre ha familiarità con il guadagno, quella dell’uomo superiore con la giustizia”. Cofucio
Mi dicono tutti che sono una che non molla, una tosta. L’altro giorno in una discussione ho tenuto testa al mio datore di lavoro. Quando è andato via, le colleghe erano così felici, che mi hanno abbracciato stretta stretta .
Gli ho detto a quel ciccione tutto quello che mi sono tenuta dentro per mesi. Mi uscivano dalla bocca, frasi lunghe e belle come stelle filanti. Vedevo gli occhi delle mie colleghe pieni di puntini lucidi, parevano coriandoli. Ho tramutato la nostra angusta stanza dalle pareti grigie, in una festa di carnevale. Alla fine della discussione ero sudata, con le guance che mi andavano a fuoco e la bocca secca. Mirko, il nostro capo, vuole che facciamo qualche minuto in più, c’è sempre un cliente nel bisogno: una giacca da stringere per una cerimonia, la gonna della signora da scorciare, l’abito per la comunione della bambina. Avido di denaro, lui dice a tutti i clienti: « si può fare » senza mai consultarci. Così la nostra mole di lavoro può aumentare improvvisamente, poco prima della fine dell’orario previsto. Lui ci obbliga a rimanere, dice di non lamentarci, che lui ci tratta bene e altrove c’è l’inferno. Spesso sono mezz’ore o più, il tempo che gli regaliamo.
Federica deve discutere con le maestre dell’asilo, Maria perde il treno per Bracciano, Lucia deve dire alla badante del padre di non andare via, ed io non ne parliamo. La mia vita è un incastro di orari, è una costruzione fragile come quelle che facevo da bambina con le carte da gioco. Il tempo nella mia vita è equilibrio. Basta che le lancette si spostino un poco più avanti e l’organizzazione della mia giornata crolla.
Daniele, mio figlio, poiché l’altro giorno per alcune tende ho finito quaranta minuti più tardi, l’ho trovato fuori dalla scuola sotto il porticato. Pioveva a dirotto, mi è apparso così piccolo e indifeso, mi si è stretto il cuore. Ha sette anni ma è esilissimo e basso di statura, un uccellino. Ada invece frequenta le scuole medie, ha tredici anni, pare già una donna. Lei invece era appoggiata al muretto davanti a casa, teneva con la mano sinistra l’ombrello, il volto rivolto in basso, nel palmo destro aveva il cellulare. Nonostante il temporale, indossava un maglioncino celeste, che le arrivava sotto l’ombelico e jeans troppo attillati, per sfidare chissà chi. Quando le ho suonato, ha sfoderato una faccia arcigna e tesa sul punto di esplodere. Aveva danza ed eravamo in ritardo. La sua insegnante le ha detto che rischia di saltare il saggio finale, se continua a non essere puntuale. Da qualche mese mentre lei si allena, porto mio figlio dalla logopedista. Le maestre si sono lamentate che Giovanni ha difficoltà a pronunciare alcune lettere e scrive male. E pago settanta euro per cinquanta minuti di esercizi, che poi ripetiamo a casa. Se la lezione è più breve a causa nostra, il prezzo rimane invariato. Insomma il ritardo dell’altro giorno, causato dall’obbligo del mio capo di consegnare delle tende per un albergo, ha rovinato la giornata come sempre a tutte noi.
E poi nemmeno a dire che a fine mese in busta paga troviamo dello straordinario. Per me è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Per questo ho preso coraggio e ho gli ho parlato. Ero così arrabbiata, che per la prima volta ho visto il suo volto rossiccio, mutare colore. Era diventato bianco come un cencio, mi ha detto che farà più attenzione agli orari. Vediamo. Per anni, quando non avevo i figli, ho accettato tanti compromessi sul lavoro. Molti soldi li ho presi in nero, spesso non ero segnata, ho utilizzato macchinari pericolosi in una fabbrica di bottoni, senza una vera preparazione. Una pazzia. Per crescere e farsi rispettare bisogna faticare, come mi ha insegnato mia madre. L’altro giorno ero così orgogliosa di me stessa, che avrei voluto mi vedesse lei, mentre mi battevo per i diritti di tutte quante.
Da piccola mi sognavo quello che ora hanno i miei figli. Lei mi diceva :”Il segreto della felicità è la riduzione, non lamentarti di ciò che ti manca”.
Mio marito è troppo tollerante con loro, li accontenta sempre, io sono la dura della famiglia. Spesso ci scontriamo per questo. A casa mia se io e mio fratello litigavamo, la mamma non ci dava la cena, se non l’aiutavamo in qualche faccenda, non ci dava la merenda. Lei era fatta per le dimostrazioni di resistenza. Una caratteristica che aveva ereditato dalla nonna. Entrambe mi hanno lasciato questa tenace fissazione per le cose giuste. Per questo quando ero giovane, e al lavoro venivo sfruttata, mi prendevano dei mal di pancia interminabili. Bevevo al posto del latte, un liquido biancastro comprato in farmacia. I figli mi hanno portato a gettarlo. Gli insegnamenti di mia madre si sono riaccesi in me con la nascita di mia figlia. Li avevo coperti sotto un mucchio di paure. Quella di rimanere senza lavoro, di non riuscire a pagare l’affitto, le bollette, la rata dell’auto. Per questo mi facevo sfruttare in silenzio.
Mi rendo conto che vivo in un Paese, dove le gravidanze non sono benedette ma vissute da molti datori di lavoro con odio. E questo è insopportabile. Poco dopo essere rimasta incinta, mi hanno licenziato. Io e mio marito ci siamo arrampicati sugli specchi per tirare avanti. Fortunatamente quando Ada ha compiuto due anni, sono stata assunta come magazziniera in un supermercato, poco dopo il negozio dove lavorava Sandro è stato chiuso. I colleghi mi dicevano in quel periodo di prendere qualcosa: “Dai Emanuela apri la borsa, un poco di spesa per la piccola, non se ne accorgerà nessuno” . Io non ho mai toccato nulla. Mia madre mi ripeteva sempre: “Quello che non è tuo non lo puoi prendere ». Ricordo che un periodo alle elementari, quando le compagne di scuola maceravano i petali di rosa in dei barattolini di vetro, insieme all’acqua, per creare profumi, io non potevo farlo. Eppure nel giardino di Don Emilio c’erano tanti fiori. Dicevo a mia madre che, visto che era un posto aperto a tutti, anche le rose erano di tutti. Lei mi rispondeva che erano le amiche ancora più ladre, perché ciò che è di tutti è intoccabile. Era severa. Ha fatto sacrifici enormi per me e mio fratello. Mio padre non lavorava, era rimasto invalido a causa di un incidente in moto, lei ha portato avanti la famiglia.
Ultimamente alcune notti non riesco a dormire.
Sono rimasta orfana a ventidue anni. In un anno ho perso tutti e due i genitori. Ho lasciato l’Università anche se mi mancavano pochi esami, e ho preso qualsiasi occupazione per campare. Mi manca non avere un lavoro soddisfacente, come non essermi laureata. Sogno spesso di trovarmi ad un esame e ho l’ansia perché non sono preparata. Mi sveglio di colpo tutta sudata, mio marito dorme. Piano piano mi alzo, vado in cucina e mi faccio una camomilla, poi entro nelle camere dei miei figli. E per pochi secondi li guardo dormire. Mi stupisco ancora che il Signore o l’universo o chi volete, mi ha fatto questo regalo incredibile, nonostante tutte le mazzate che la vita mi ha dato. Mi fermo a pensare che occupazione troveranno, in questo mondo competitivo. Ho paura. Vado in salone, nella libreria ho una foto di mia madre, indossa una gonna jeans, camicetta a maniche corte, e foulard in testa. Sorride tenendo tra le braccia un mazzo di cicoria. Prendo in mano la cornice e nel silenzio della casa le domando: “Allora mamma che dici? I tuoi nipoti ce la faranno? Studieranno ? È un mondo duro”.
Lei continua a sorridermi, poggio la foto e vado a letto.
Mi dico: “ Paola hai fatto il massimo fino ad adesso, magari un giorno ti rimetterai anche a studiare. Hai figli a cui hai trasmesso l’amore per le cose giuste e questa inguaribile voglia di non mollare”.
Poi chiudo gli occhi e vedo mia madre sorridermi, così mentre mi addormento lo faccio anch’io.