Don Enzo Cozzolino e il “napoletano” che si fa veicolo di fratellanza, di giustizia, di pace, di amore.
DON ENZO COZZOLINO – Portici è in festa per la solennità del santo patrono, Ciro. La Messa solenne è celebrata da don Enzo Cozzolino. È il momento della predica. Tutti siedono. Don Enzo, parroco a San Sebastiano al Vesuvio, già direttore della Caritas diocesana, è un prete preparato e colto, ma semplice come l’acqua della fonte. Simpatico ed empatico. Ricordo il giorno in cui, a Roma, fu fermato dalla polizia mentre ci apprestavamo ad andare all’udienza del Papa. Che cosa avevano notato di strano in lui quei fedeli servitori dello Stato? Il giubbotto che indossava. Era identico a quello dato in dotazione a loro.
Un falso poliziotto, dunque? Un imbroglione? Ben presto l’equivoco fu chiarito. Don Enzo quell’indumento pesante lo aveva trovato in un cassonetto degli abiti usati che vengono donati ai bisognosi. Povero tra i poveri. I poliziotti compresero: « Ma almeno, reverendo, tolga gli alamari e i gradi…» Ridemmo insieme. Don Enzo, dunque, inizia a commentare il Vangelo. E lo fa, seguendo passo passo, i consigli che il Papa non si stanca di dare a noi preti. Parla al popolo napoletano con la sua stessa lingua, scende nei meandri dell’animo umano. Lo indaga. Racconta. Esorta. In una cosa sola non si attiene alle indicazioni di Francesco: il tempo.
L’omelia non dura pochi minuti, ma, strano, nessuno in chiesa dà segni di stanchezza. Nessuno sonnecchia o esce a fumarsi una sigaretta. Tutti con il fiato sospeso. Don Enzo non le manda a dire. Come Gesù, come il papa, come i santi, tocca, con passione, i problemi più profondi del cuore umano. Cita padre Pio e santa Teresa. Affronta i problemi reali presenti in tante case: la croce da portare, le velenosissime liti familiari, la maledetta sete di denaro che riesce a distruggere perfino gli affetti più cari, l’incapacità di guardarsi negli occhi, di essere felici, i vecchi lasciati soli o affidati alle badanti.
Racconta di quando, in missione in Romania, nel villaggio dove mancava perfino la corrente elettrica, una sera, davanti al fuoco dove veniva arrostito un capretto, i bambini impazzivano di gioia. Don Enzo non sta troppo bene in salute, e a casa ha la mamma che non si alza più dal letto.
Parla del suo rapporto con Dio, dei rimproveri che sovente gli muove, dei tanti ” perché” che non trovano risposta, ma sempre, dice, di concludere dicendo: « Sia fatta la tua volontà, Signore». La preghiera di Gesù nell’orto.
La gente applaude. Si sente interpellata. Ha compreso. La Parola che salva è arrivata a destinazione. Missione compiuta. La Messa è finita, andate in pace. O, forse, no, decidete voi se volete accoglierla, la pace, che è dono, desiderio, ricerca, fatica. Decidete voi se siete disposti a rivedere qualcosa che non va. Se avete il coraggio di chiedere e donare il perdono.
Giovanni Papini: « Gesù nasceva per condannare la vendetta e comandare il perdono ai nemici». Ai nemici, figuratevi agli amici, ai fratelli e alle sorelle nella carne o nello spirito.
Qualcuno, di nascosto, riprende la scena con il telefonino. Al resto ci pensa il Web. L’omelia di don Cozzolino, nel giro di poche ore, entra in tante case, in tanti cuori. Leggera, profonda, vera, diverte e mette in crisi. Fa tanto bene. Mi attardo a leggere i commenti, quasi tutti positivi. La nostra madre lingua, portata in questi giorni dal giovane Geolier sul palco di Sanremo, è viva. Arricchisce non depaupera. Unisce non divide. Niente deve andare perduto delle nostre culture. Soprattutto quando si fanno veicoli di fratellanza, di giustizia, di pace, di amore.
Ben venga il Vangelo predicato nei vari idiomi locali. Incarnazione vuol dire questo: farsi povero con i poveri, semplice con i semplici, piccolo con i piccoli, filosofo con i filosofi. Napoletano con i napoletani. E, senza imbarazzo, entrare in dialogo con tutti, donando e ricevendo. Tutto passa. La Parola di Dio rimane in eterno. Ai noi cristiani la scelta degli strumenti per farla arrivare a destinazione nel migliore dei modi. Grazie, don Enzo, per questa simpaticissima lezione.
Maurizio Patriciello.