Adriano Olivetti ci insegna che la fede fa bene pure alle aziende
“Sostiamo ora, in questi giorni, lontano dalle fatiche, dal travaglio delle lotte e delle idee, nella pace della famiglia, nella letizia dei bimbi, nella luce del Natale.
Ci soffermeremo tutti, domani, volgendo il pensiero e il cuore al messaggio di Gesù, a quel messaggio di verità e di amore che illuminò un giorno il mondo, dalla terra di Israele, alla luce di una stella che è senza tramonto.
Ognuno di noi, domani, raccogliendosi intorno ai suoi cari, pensando alla calma del nostro cielo azzurro, al nitro candore delle nostre montagne, alla bellezza della nostra natura innalzerà a Dio un pensiero di amore e di pace e augurerà alla propria famiglia e ai propri compagni come oggi auguro a voi tutti, un buon anno nuovo.”
Non è un estratto di vita di santi, né riflessioni di una monaca di clausura, e manco la pagina di un eremita delle montagne.
È il discorso della vigilia di Natale del 1949 alle maestranze operaie riunite a Ivrea di Adriano Olivetti, il figlio di Camillo, nell’anno della sua conversione dalla religione protestante a quella cattolica.
Adriano magari non era un santo eremita e manco un monaco integerrimo.
Fascista poi antifascista, marxista socialista ma liberale, democratico riformatore, sposato divorziato e risposato, mezzo valdese poi protestante quindi cattolico definitivamente.
Una vita multicolor, e un filo conduttore unico, la ricerca di un’armonia che facesse star bene tutti e lui col tutto.
Ad una certa aveva capito che senza un Dio eterno da contemplare la vita sbatteva ai vetri come le mosche.
Gli operai della fabbrica Olivetti pare fossero tra i più soddisfatti, perché un lavoratore soddisfatto è un lavoratore migliore diceva Olivetti. La fede fa bene pure alle aziende.
Perché alla fine della fiera, un uomo amato è sempre un uomo migliore.