Un sorriso pagato a rate
Lo incontrai la sera di Natale in una delle stazioni sotterranee della metropolitana, stavo attendendo la Uno, quella che noi milanesi chiamiamo ‘la Rossa’, avevo fretta di arrivare, otto fermate, quattro minuti a piedi e sarei entrato a casa mia: la festa grande l’avremmo fatta domani venticinque dicembre con suoceri e consuoceri, però quella sera volevo cenare con mia moglie e mio figlio.
Saremo stati una decina in quella stazione e il timore di un malintenzionato, la paura che potesse accadere qualcosa serpeggiava tra tutti. Mancava poco alle ventitré, era l’ultima corsa. Mi si avvicina un tipo buffo, brutto, piccolo ma con un viso simpatico e un’espressione cordiale, non saprei come dire: da buono.
«Signore,» mi fa «io vendo sorrisi.».
Io, sempre pronto alla polemica e al sarcasmo, gli faccio: «Bravo, ha scelto il posto giusto, proprio qui li viene a offrire!», «Ma non vede che facce tetre!»,
«Appunto, io ho la mia edicola, dove esercito ogni giorno, però, se c’è bisogno, arrivo a qualunque ora e qui mi sono accorto di essere necessario, ho intuito in tutti questi signori una preoccupazione, un timore latente.» mi risponde con naturalezza; e, quando, sorridendo, gli faccio notare che non vedo alcuna valigetta che li contenga, mi risponde che dovrebbe aprirla ogni volta, che la sua è vecchissima, in fibra di cartone, fermata con lo spago e mi spiega che essi sono in lui: «Come questo,» mi fa, «le piace?» e mi mostra un sorriso dolce, sereno, disteso che in un attimo mi fa scordare il fantomatico malintenzionato che potrebbe arrivare.
Io invece, con uno ironico, ben diverso dal suo e con quell’espressione sarcastica che tanto indispone mia moglie, gli faccio: «Bene e quanto vuole per ogni suo sorriso, mi raccomando mi faccia un prezzo da amico?».
Lui mi risponde tranquillo «Ne voglio tre, uno subito per me e gli altri due saranno per le prime persone che incontrerà», e io, con la mia solita aria indisponente: «Un po’ caro, però noto con piacere che accetta il pagamento a rate, devo rilasciarle due cambiali?», «Serve l’avallo di qualcuno?».
«Non importa e non chiedo nessun garante,» risponde, «il fatto che mi abbia ascoltato mostra già quanto mi possa fidare di lei, della sua parola e del saldo ratealizzato.», «Ogni rata un sorriso.».
Resto muto, lo guardo e lui con espressione gaudiosa: «Allora … affare fatto?». «Sì.» gli rispondo con un sorriso pari al suo che non avrei mai creduto di saper mostrare.
Mi guardo attorno, non c’è più, non lo vedo, ma di certo starà vendendo sorrisi agli altri, ce la farà ad avvicinarli tutti, sono ben dieci le persone presenti in quella stazione sotterranea! «Meglio dargli una mano.» faccio tra me e saldo le due rate. Forse altri hanno fatto altrettanto: saliti sulla carrozza prima completamente vuota, i visi di tutti noi non esprimono alcun timore. Sono rilassati e sorridenti.
Chi discorre allegramente col vicino, chi legge con interesse le scritte pubblicitarie tra un finestrino e l’altro, chi canticchia tra sé.
Alla successiva fermata non sale nessuno, all’altra: proprio quel malfattore del quale tutti temevano l’arrivo. Avrà trent’anni, è solo. Ha un viso bieco, arcigno, un’espressione ostile. Fermo all’inizio della carrozza, estrae la rivoltella e minacciando di sparare, intima agli astanti di consegnare tutto quanto hanno nelle tasche.
«Perché?» gli domanda uno, saldando la seconda rata.
A quel sorriso dolce, il malfattore assume un’espressione diversa, anche il tono non è quello di prima, pur mantenendosi duro: «Perché pure io ho diritto di mangiare come voi, perché qualche regalo ai miei due bambini, lei di sei anni lui di undici, vorrei farlo ogni tanto, perché mia moglie, quando esce col soprabito, ha freddo e io non ho i soldi per comprarle un cappotto.».
«E perché non lo hai detto?» gli faccio io … o un altro … non importa.
E ciascuno gli sorride dolcemente.
A tali parole, il tipo si guarda attorno, sembra non capire, è confuso alla vista di tutti noi che, alzatici e avvicinatici a lui, gli porgiamo chi dodici euro e tre centesimi, chi centocinquantadue e dieci centesimi, chi ventisette e diciotto, chi un abbonamento alla metropolitana più centodue euro, chi una carta di debito con settanta euro, chi duecento ventun euro e venticinque centesimi, chi trecentovent’otto, tutto ciò che ciascuno ha in tasca, insomma.
«Avrei questa catenina d’oro,» fa uno «ma per quello che poi ti darebbero i ricettatori … questo è il mio biglietto da visita, chiamami domani, ti dirò a che ora vederci, ti andrebbe bene al Bar Due Gazzelle in corso Vittorio Emanuele?», «Ho in mente due regali per i tuoi figli e intanto beviamo qualcosa: in piedi se ha fretta, altrimenti ci sediamo.».
Il malfattore è sempre più smarrito e: «Che posso dire!», «Non mi vengono le parole!», «Mi sembra un sogno!» fa con un sorriso dolce, sereno, disteso. Allora io, o un altro, non ricordo: «Ci basta un grazie e il sorriso che hai appena regalato a ciascuno di noi, gli altri diciannove saranno per le prime persone che incontrerai all’uscita da questa stazione, l’ultimo, conservalo per la tua famiglia.».
Poco prima delle ventiquattro, arriva a casa, bacia la moglie e i bambini e lei, a bassa voce perché loro non sentano. «Hai tardato, ero così preoccupata, temo sempre che la rapina finisca male, che ti succeda qualcosa, che la polizia ti prenda.».
E lui, rivolto a lei e ai figli: «Mi è accaduto un fatto incredibile!» spiega saldando l’ultima rata. E narra la storia omettendo, com’è ovvio, di quando ha minacciato di sparare, racconta della telefonata che dovrà fare l’indomani e dei regali per i bambini che quel signore ha promesso.
Loro battono le mani contenti e la moglie, contando banconote e monetine: «Piantala con le fantasie … non ho certo voglia di favole, io!» esclama con aria seccata.
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Circa alla stessa ora sono rientrato io e ho narrato a mia moglie di quel tipo buffo, brutto, piccolo ma con un viso tanto simpatico e un’espressione da buono che vendeva sorrisi da pagare a rate e poi del malfattore al quale tutti abbiamo dato qualcosa. E l’hanno raccontato gli altri miei compagni della carrozza, chi ai genitori, chi ai figli e alla moglie, chi alla fidanzata, chi a tutti gli amici, chi ai suoceri e ad altri parenti.
Non ci ha creduto nessuno.
Dal libro ‘Un Sorriso pagato a Rate’ e altre 21 Storie, di Enrico Borgatti