Il silenzio e l’esempio di San Giuseppe
Gli evangelisti non hanno ritenuto di tramandarci una sola parola uscita dalla sua bocca. È nel suo silenzio, dunque, che occorre indagare. Un silenzio ricco di pensieri, di attenzioni, di bontà, di ricerca della volontà di Dio.
Un silenzio orante, eloquente, non paragonabile nemmeno lontanamente al tacere di chi non ha niente da dire.
Chi è Giuseppe? Chi questo giovanotto capace di mettere da parte i suoi sogni, i suoi progetti, le sue aspirazioni per realizzare i sogni e i progetti di Dio? Che cosa, oggi, può insegnare a noi cristiani e agli uomini di buona volontà?
In questo nostro tempo, dove l’apparire pretende di pesare più dell’essere; le opinioni più strane più delle poche certezze che ci accompagnano. Giuseppe è una figura indispensabile nell’economia della famiglia di Nazareth o di lui Maria, Gesù e la Chiesa avrebbero potuto farne a meno? Certo, se Dio lo ha scelto per affidargli le persone che più gli stavano a cuore ci conviene conoscerlo meglio.
Senza pregiudizi e senza farne un santino di facile devozione. Come davanti a un dipinto prezioso, dobbiamo metterci a debita distanza per coglierne tutta la bellezza e l’importanza. Giuseppe è una miniera che non smette di regalare sorprese. Scavando nel suo silenzio si scoprono filoni sempre nuovi. Quest’uomo ha preso sul serio la vocazione cui è stato chiamato, non ha preteso il primo posto, non si è messo in mostra. Ha capito, come dirà un altro gigante, suo contemporaneo, che “Lui deve crescere, io diminuire”. Che “se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore produce molto frutto”. Dinamica, questa, non sempre compresa, eppure sotto gli occhi di tutti. Si fa da parte la mamma per lasciare spazio al figlio appena nato.
Mette a repentaglio la sua vita il volontario negli ospedali da campo pur di salvarne un’altra. È dando che si riceve, morendo che si risorge a vita eterna. Giuseppe lo ha capito. Gli è stato chiesto tanto, è vero, ma gli viene donato tantissimo. Catapultato in un mistero che lo supera, accetta di incamminarsi per un sentiero illuminato scarsamente e solamente a tratti. Le ore delle sue giornate, lunghe e faticose, sono identiche alle nostre. Gabriele, dopo l’annuncio a Maria, “parti da lei”. Su di lui, quindi, non si può contare.
Dopo le promesse ricevute, occorre procedere con le proprie gambe. Come tutti noi. Giuseppe ci somiglia. Nessun privilegio, nessun ponte levatoio gettato, all’ultimo momento, sul fiume della vita, nessuna ulteriore rivelazione. Credo che di dubbi, Giuseppe, ne abbia avuti e tanti. Lo vedo mentre, seduto sull’uscio di casa, ne parla con Maria quando la calura lascia spazio alla brezza della notte. Eccoli, soli, a ripensare al mistero che ha sconvolto le loro vite. Eccoli, mentre il ventre di Maria cresce, chinare il capo e confidare tutto al buon Dio. La fede non fa sconti a nessuno.
Le domande che picconano la mente e il cuore di tutti, credenti e non credenti, hanno tormentato anche Giuseppe:« Perché, Signore, permetti al disumano Erode, di fare strage dei bambini? Perché non ascolti il pianto disperato delle loro mamme? Perché il grido di Rachele rimane inascoltato?». Ieri come oggi. Anche a Giuseppe non tutto è chiaro. Non lo sarà mai a nessuno. Si avanza, lentamente, nella penombra della sera. Chi viene dopo vede meglio, è vero, ma a nessuno è dato di capire tutto. È questo forse – dico forse – il dono più grande che Dio ha voluto fare all’umanità.
Un velo alla volta viene rimosso dal mistero che ci incanta, che però rimane avvolto ancora in miliardi di altri veli. Per l’eternità. Dio è Dio e l’uomo non è Dio: che pace! Giuseppe lo ha capito. Medita. Prega. Lavora. Si fida. Si affida. C’è. Ci sarà. Non c’è amore più grande di chi dona la vita per gli altri. Giuseppe lo ha fatto.
Ama Maria, ama Gesù, lo educa, lo prepara a diventare uomo. Lo fa, soprattutto, con il suo forte e umile esempio. Quel bambino è suo e non è suo. È veramente uomo e veramente Dio. Ci sarebbe da impazzire. Anche Giuseppe, corre questo rischio, e, come accade a noi, cerca di distrarsi per non morire. Ha bisogno di dimenticare, almeno per qualche ora, la chiamata spaventosa che dall’eternità gli è stata riservata. Si getta nel suo lavoro, si rende disponibile, corre in aiuto dei vicini nel bisogno. Deve riposare la mente per sopportare il segreto che si porta dentro. Di gioia si può morire. Giuseppe ha corso anche questo rischio.
(Da Avvenire)