Corsi di educazione sessuale a scuola per contrastare i femminicidi? E se ci fosse già scritto tutto nella letteratura?
Corsi di educazione sessuale a scuola per contrastare i femminicidi, come richiesto a gran voce dalle opposizioni e promesso dal governo. E se ci fosse una strada più semplice?
Grande privilegio essere docente di letteratura italiana, se questo ruolo si interpreta non solo come professione ma anche in funzione educativa. Il sommo poeta, Dante Alighieri, a mio parere il più grande genio di tutti i tempi, può rappresentare, se ben spiegato e ben compreso, la principale fonte di rispetto della persona umana, in particolare dell’uomo nei confronti della donna. Immaginiamo di essere in una classe, in una terza superiore e di proporre alcuni passi di un’opera di Dante, la Vita Nova, leggendoli lentamente, con passione, spiegandoli parola per parola, a ragazzi che hanno questa opportunità unica di incontrare il Bene, il Bello: un cuore non abituato alla dolcezza e alla potenza delle parole di Dante, un cuore giovane, morbido come la cera, non può che scaldarsi e iniziare a vivere e desiderare di comprendere meglio per “arricchirsi dentro”.
Come si può pensare che qualche ora di educazione sessuale/affettiva/genitale possa influire maggiormente di una
“ torcia” d’amore quale quella descritta da Dante e attribuita a Beatrice? Qualsiasi altra proposta sfigura, mostra la propria mediocrità rispetto al sublime eloquio che solo uno scrittore medievale poteva avere.
Non sarà un’agenzia esterna, asettica o anche orientata, a ricostruire l’immagine della donna agli occhi dell’uomo. Andrebbe restituito alla letteratura il suo compito di essere materia umanistica per eccellenza, che ha, cioè, a cuore, l’uomo, anzi, “homo”, parola che in latino non differenzia il maschile dal femminile, bensì indica l’umanità: certe sottolineature come “femminicidio”, termine distinto dall’omicidio, non hanno alcuna motivazione lessicale e tantomeno culturale.
A semplice titolo esemplificativo, riporto alcuni passi tratti dalla Vita Nova, sottolineando aggettivi, nomi, frasi, tutti emblematici, a mio avviso, del potenziale rigenerante i cuori dei giovani.
Dante Alighieri, Vita Nova, Capp. 3 e 11.
Poi che fuoro passati tanti die, che appunto erano compiuti li nove anni appresso l’apparimento soprascritto di questa gentilissima [1], ne l’ultimo di questi die avvenne che questa mirabile donna apparve a me vestita di colore bianchissimo, in mezzo a due gentili donne, le quali erano di più lunga etade [2]; e passando per una via, volse li occhi verso quella parte ov’io era molto pauroso, e per la sua ineffabile cortesia, la quale è oggi meritata nel grande secolo [3], mi salutoe molto virtuosamente, tanto che me parve allora vedere tutti li termini de la beatitudine.
L’ora che lo suo dolcissimo salutare mi giunse, era fermamente nona di quello giorno [4]; e però che quella fu la prima volta che le sue parole si mossero per venire a li miei orecchi, presi tanta dolcezza, che come inebriato mi partio da le genti, e ricorsi a lo solingo luogo d’una mia camera, e puosimi a pensare di questa cortesissima.
E pensando di lei, mi sopragiunse uno soave sonno, ne lo quale m’apparve una maravigliosa visione: che me parea vedere ne la mia camera una nebula di colore di fuoco, dentro a la quale io discernea una figura d’uno segnore [5] di pauroso aspetto a chi la guardasse; e pareami con tanta letizia, quanto a sé, che mirabile cosa era; e ne le sue parole dicea molte cose, le quali io non intendea se non poche; tra le quali intendea queste: “Ego dominus tuus”. [6] Ne le sue braccia mi parea vedere una persona dormire nuda, salvo che involta mi parea in uno drappo sanguigno leggeramente [7]; la quale io riguardando molto intentivamente, conobbi ch’era la donna de la salute, la quale m’avea lo giorno dinanzi degnato di salutare. E ne l’una de le mani mi parea che questi tenesse una cosa la quale ardesse tutta, e pareami che mi dicesse queste parole: “Vide cor tuum“. [8]
…
Dico che quando ella apparia da parte alcuna, per la speranza de la mirabile salute nullo nemico mi rimanea, anzi mi giugnea una fiamma di caritade, la quale mi facea perdonare a chiunque m’avesse offeso; e chi allora m’avesse domandato di cosa alcuna, la mia risponsione sarebbe stata solamente “Amore”, con viso vestito d’umilitade. 5. E quando ella fosse alquanto propinqua al salutare, uno spirito d’amore, distruggendo tutti li altri spiriti sensitivi, pingea fuori li deboletti spiriti del viso, e dicea loro: «Andate a onorare la donna vostra»; ed elli si rimanea nel luogo loro. 6. E chi avesse voluto conoscere Amore, fare lo potea mirando lo tremare de li occhi miei. 7. E quando questa gentilissima salute salutava, non che Amore fosse tal mezzo che potesse obumbrare a me la intollerabile beatitudine, ma elli quasi per soverchio di dolcezza divenia tale, che lo mio corpo, lo quale era tutto allora sotto lo suo reggimento, molte volte si movea come cosa grave inanimata. 7. Sì che appare manifestamente che ne le sue salute abitava la mia beatitudine, la quale molte volte passava e redundava la mia capacitade.(11,4-7)
Prof. Vittoria Criscuolo
Già docente di Latino e Greco presso il Liceo Classico “ E. Cairoli” di Varese
Presidente del Movimento e Centro di aiuto alla Vita di Varese