Lettera a noi padri – in memoria di Giulia Cecchettin
La morte di Giulia ci interpella tutti, noi maschi, uomini, padri, compagni di vita. Non possiamo non sentirci addosso tutto il dolore del mondo. Giulia è anche nostra figlia. Così come il suo assassino. Sono i figli e le figlie che cresciamo nelle nostre vite, nelle nostre famiglie. Sono i figli e le figlie a cui consegniamo la vita con cui li abbiamo messi al mondo perché la rendano quel territorio in cui diventare chi davvero vogliono essere. In questo progetto educativo, devono imparare che non possono esistere parole come possesso, sopruso, sopraffazione. Lo devono sapere le nostre figlie, prima di tutto. Perché se solo un amore si contamina con queste parole allora da lì si deve fuggire. E denunciare. Lo devono però prima di tutto imparare i nostri figli. La sfida enorme con i nostri figli maschi non è solo insegnare loro a non essere violenti, cosa fondamentale, sia chiaro. La vera sfida è quella di insegnare loro ad essere “veri” con se stessi. A comprendere che costruire una storia d’amore significa esercitare tre competenze fondamentali dentro una relazione: rispetto, responsabilità ed empatia. Che vanno insegnate ancora prima della non violenza. Perché se apprendi queste tre competenze, allora la violenza non entrerà mai nella tua vita, il possesso non comparirà mai come bisogno dentro una storia d’ Amore.
“Cari padri, il cambiamento nella vita dei nostri figli maschi può avvenire a partire da noi. Siamo figli di padri che ci hanno amati e cresciuti, ma che quasi mai sono riusciti a dirci: “Ti voglio bene, figlio mio”. Siamo figli di padri che quasi mai sono stati capaci di vedere le nostre lacrime, anche quando era impossibile non farlo. Siamo figli di uomini che non hanno quasi mai saputo parlarci del sesso, dell’amore, del corpo che cambia, della pubertà. Eppure questi temi sono di importanza cruciale nella vita di un ragazzo.
Noi padri siamo i compagni di viaggio che stanno davanti, di fianco e dietro a un figlio che a sua volta diventerà uomo. Nel vivergli accanto possiamo mostrargli cosa vuol dire per noi uomini essere persone vere. Possiamo aiutarlo a non temere la tristezza e a trasformare la paura in coraggio. Possiamo educarlo a tenere alto lo sguardo sugli altri e sulla vita facendo del nostro sguardo uno specchio in cui lui stesso può riflettersi per cercare quell’immagine identitaria che ancora gli appare sfocata e poco definita, così come deve essere alla sua età.
Noi padri possiamo rendere la relazione con i nostri figli un’occasione di allenamento al rispetto e alla verità, un laboratorio dove si discute dell’amore e della sessualità, uno spazio di vita in cui –aiutando loro a diventare gli uomini che vogliono essere – diventiamo noi stessi uomini più completi e più veri.
Siamo noi padri gli scultori di un nuovo modo di essere maschi e uomini in questo terzo millennio, in cui i nostri figli si trovano spesso sospesi tra il falso mito del vero uomo e il bisogno profondo di diventare uomini veri”. (tratto da “Ragazzo mio. Lettera agli uomini veri di domani” di A.Pellai, De Agostini ed.).
Con un enorme dolore, oggi, mi sento padre di Giulia e anche padre del suo assassino. Sento dentro di me tutto il dolore del mondo. E comprendo che la rivoluzione più necessaria oggi è quella che dobbiamo fare noi padri.
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