Davanti all’uomo con le braccia spalancate sulla Croce facciamo giocare i nostri bambini
ABISSI – «Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi?». Già, chi è quest’uomo che mi abita e con il quale debbo fare i conti mille volte al giorno? Che cosa vuole quando m’induce a imboccare una strada che da tempo ho ripudiato? Perché mi affascina – anche se non lo ammetto – il pensiero di godere di una piccola soddisfazione nell’umiliare, in qualche modo, chi mi ha fatto male? Perché la pace, che agogno più di ogni altra cosa al mondo, si lascia insidiare da una sottilissima, quasi impercettibile, tentazione di discordia?
Sono e siamo mistero a noi stessi. La prima prova dell’esistenza di Dio la trovo in questo impasto, che non sempre so decifrare, che sono io, con le mie paure, le mie speranze, il mio desiderio di eternità, la mia grandezza, la mia pochezza. Della vita ho capito tutto, oppure quasi niente? Ancora una volta non so districarmi. E intanto il tempo si fa breve. Una cosa posso affermare con certezza: tu non sei il mio inferno. Non puoi esserlo, non lo sarai mai. Come me sei immenso quanto una galassia e piccino come un granello di sabbia del deserto. Come te sarei capace di dare la vita per salvarne un’altra ma anche capace di calpestare chi mi chiede aiuto. Uomo che sei in me, mi affascini e mi spaventi. Uomo che sei di fronte a me, sei lo specchio in cui mi guardo. Dammi la mano, fidati, camminiamo insieme. Insegnami a nuotare, insegnami a volare, insegnami a pregare. Fammi guardare oltre l’orizzonte. Aiutami a decifrare l’enigma di questi giorni sempre nuovi, oppure tutti uguali. Insieme sconfiggeremo la noia che ci assedia e l’odio che ci uccide.
Al serpente antico, occorre schiacciare il capo. Non è morto. Non muore mai. Risorge a ogni alba e a ogni generazione. È bugiardo e stupido. Stupidamente e ferocemente bugiardo. Di lui non ti puoi fidare un solo istante. Dobbiamo, insieme, smascherare le sue trappole. Non ti ama. Non sa amare. Non vuole che mi ami. Ha paura dell’amore. Calpesta, disprezza, tenta di distruggere ogni piccolo seme dell’amore. Nemico giurato degli amici e della verità. Del pane donato e della solidarietà. Degli abbracci e della condivisione. Non credergli mai. Tu sei il mio paradiso. Anche quando ti fai prepotente, anche quando ti appropri dei miei spazi e minacci la mia libertà. È quello il tempo della fermezza, della forza, della pazienza. Della sapienza.
Non indugiare con il serpente sulla via della falsità. Quante menzogne sono state dette e scritte nel corso della storia. “Mors tua vita mea”. No, la tua morte non sarà – non potrà mai essere – per me fonte di vita. La tua morte, se voluta, cercata, procurata, chiamerà altre morti in una catena inarrestabile di lacrime e di orrori. La tua morte, anche se dovesse risolvere un problema oggi, segna la condanna a morte dei nostri figli e dei figli dei loro figli che ancora non hanno visto il sole. Quante menzogne abbiamo dovuto leggere e studiare. Siamo affamati di amore, questa è la verità. Anche quando facciamo fatica a riconoscerlo. Anche quando ci convinciamo del contrario.
Solo l’amore supera le barriere, i confini, le trincee, le fedi religiose e il colore della pelle. Solo l’amore fa dimenticare il male ricevuto. E, senza paura, va alla ricerca di ogni appiglio per tentare di comprendere l’altro, con lui sedersi a mensa, perdonarlo. Il perdono, che poggia sulla giustizia, unico, potentissimo medicamento contro il male che ci assedia. Solo il perdono è pregno di serenità e di futuro. Solo il perdono mette al sicuro i tuoi e i miei bambini. Fermati, amico. Fermiamoci insieme. In caso contrario, davanti a noi, come un orribile animale preistorico, si spalanca l’abisso.
Rigettiamo ogni vigliaccheria. Mettiamoci in ascolto, guardiamoci negli occhi, senza reticenze, senza paure, senza preconcetti. Troviamo il coraggio di gridare insieme: «Tu sei mio fratello. Il tuo bambino è anche il mio bambino. Siamo figli dello stesso Padre». Preghiamo. Abbassiamo il capo. Non vergogniamoci di provar vergogna. Davanti all’uomo con le braccia spalancate sulla croce facciamo giocare i nostri bambini. Noi catapultati in un silenzio zeppo di fede, speranze, confusioni, loro a far baldorie per inebriare Dio. Impariamo da loro che cosa vuol dire vivere. Ci insegneranno che la vita è incredibilmente bella. Che il sogno di Dio è quello di poter – finalmente – giocare con noi tutti abitanti della terra.