“Mamma, ma se Dio è buono, perché si muore?”. Costanza Miriano ne parlerà a Nomadelfia di Roma
Di solito era una di quelle domande con cui i figli mi bloccavano quando furtivamente, scansando a piedi scalzi scenari di guerra a terra (soldatini schierati a difesa del dinosauro capo, che si chiamava Sindacon) o teatri d’amore (due principesse che se le erano date di santa ragione per un bel tomo dal mantello azzurro), cercavo di raggiungere l’agognata meta serale, il divano sul quale svenire ingerendo dalle sei alle ottocento calorie di risarcimento.
“Mamma, ma se Dio è buono, perché si muore?” No, dico, avrei risposto velocemente e a caso a qualsiasi altra domanda al mondo (la Roma vince domani?, sì certo; perché la zia era così allegra?, perché era ubriaca, è ovvio; perché i dinosauri si sono estinti? perché non facevano i compiti per scuola, è chiaro). Qualsiasi quesito. Ma “perché il male”, no. “Perché la morte”, no, vi prego, non a quest’ora, se non dormo entro due secondi sbrocco. Eppure sono quelle domande che non puoi liquidare, neanche se non dormi da ventidue ore e cammini appoggiandoti ai muri.
Ecco, il problema è che anche da sveglia, io non so come rispondere, esattamente.
Non so cosa dire di fronte alla vita dell’amica colpita dalla malattia dei figli, di lui tradito che rimane al suo posto, o quando parlo con la mia amica a cui è morto un marito fantastico, e che fa da padre e madre a un sacco di figli e porta dei pesi incredibili, complicazioni di ogni genere, che mentre me le racconta io che ero arrabbiata per un voto sbagliato dato a mia figlia vorrei percuotermi da sola con una cornamusa.
Ecco, sul perché rivolgetevi ai teologi, anche se un frate che stimo molto dice sempre di diffidare di chi vuol spiegare il male. Però quello che ho capito io sull’argomento, anche se è poco, è troppo importante, e volevo scriverlo nella speranza di riuscire anche a farlo mio (come sempre, sulla teoria sono abbastanza ferrata).
Ecco, provo a dirlo con parole mie: quello che Dio desidera più di tutto è entrare in un rapporto personale con alcuni di noi. Dico alcuni perché secondo me solo ad alcuni di noi interessa, e lui è cortese, non si impone mai, rispetta i nostri desideri e la nostra libertà, sacra e importante per lui più della nostra stessa salvezza. Questo rapporto personale, però, non possiamo averlo se non apriamo la porta della stanza più interiore e sacra di noi. La cabina di regia, quello che ci fa vivere. Questa porta, però, la sfonda solo una perdita di qualcosa, una mancanza, un dolore. Una fragilità che ci faccia abbassare le difese e riconoscere che abbiamo bisogno di un Altro, perché da soli non ci bastiamo.
Invece la cosa che a Dio dispiace di più è quando abbiamo un rapporto pagano con lui: se io ti do queste preghiere, tu poi devi fare questo per me. Questa è una roba da mercanti (non a caso quelli con cui si arrabbia tantissimo Gesù nel tempio), mentre lui vuole che noi siamo suoi figli, vuole darci tutto.
La storia che Dio fa con ognuno di noi è unica, non è in serie. Per ognuno di noi lui pensa un modo speciale per cercare di bussare alla porta, e poi, se rispondiamo, sfondarla. Questo modo, per un mistero che come dicevo non so spiegare, è una croce – simbolo e cuore della nostra fede – esattamente della misura, del peso, del materiale giusto per noi. Ci vuole un po’ a capirlo, che quella cosa contro la quale brontoliamo, imprechiamo, gridiamo (ognuno ha il suo modo, io sono più del tipo lamento e recriminazione continua, tipo “Dio non sa cosa ho fatto per lui”) è invece esattamente quella giusta per noi. E che attraverso quella fatica Dio sta parlando alla nostra vita, per salvarla (Dio non ti odia, ti allena, ho letto su Twitter, vorrei conoscere il genio).
Ovviamente è molto più facile vederlo nelle vite degli altri, e così, mentre continuo a brontolare a Dio (prima o poi mi lascia), quando vedo le vite degli altri mi appare molto più chiaro il disegno, come Dio lavora. Questo libro che esce oggi è è stato di gran lunga il più faticoso da scrivere, per l’argomento (come mi ha detto mio marito quando gli ho annunciato che volevo metterci mano “ah, bello, un libro sulla croce! Andrà a ruba!”: ma si sa che lui è il mio demotivatore ufficiale) e per il ritmo di vita che avevo prima (tra lavoro e viaggi, e l’insospettabile quantità di percorsi a ostacoli che riescono a produrre quattro soggetti in casa, molto alti e moltissimo complicati, benché, devo ammetterlo, molto simpatici). Se non ci fosse stato il lockdown starei ancora tentando di scrivere. Invece alla fine sono riuscita a chiuderlo, a separarmi dagli amati protagonisti, che come sempre sono persone vere a cui ho cambiato alcuni elementi perché non fossero riconoscibili. Insieme a loro ci sono alcune storie di fratelli maggiori nella fede che sono passati attraverso la stessa croce: Gabriella ed Elisabetta Canori Mora, Caterina che è sopravvissuta a un padre orrendo, Luca che ha imparato a dire la preghiera più importante – sia fatta la tua volontà – e a spegnere radio Satana, quella che ti dice sempre che c’è qualcosa che non va in te, nella tua vita e in quella degli altri; Carmen che ha trovato la felicità dopo un tumore e Benedetta Bianchi Porro (una santa gigantesca); Elena che sembrava la donna perfetta nella vita perfetta, e ha incontrato una perfezione più grande quando tutto è cambiato, e Giuseppina Bakhita, che non si capacitava del fatto che lei, schiava, fosse la figlia del Re; Anna col suo matrimonio faticoso (c’è anche un capitolo di ripasso sui fondamentali di traduzione maschio/femmina) ed Elisabetta Leseur, David Buggi e tutte le altre persone che hanno capito che Dio ci fa dei regali, solo che non li incarta nei problemi.
Ecco, più che cercare di spiegare il mistero, racconto quello che ho visto nelle vite delle persone che hanno saputo rendere docile il loro cuore, stare davanti alla realtà, accoglierla, e decidere di fidarsi: se Dio davvero è un Padre buono, tutto ciò che fa o permette per la nostra vita, nasconde un disegno di bene.
COSTANZA MIRIANO PARLERA’ DI QUESTO LIBRO LUNEDI SERA 2 OTTOBRE 2023 A NOMADELFIA DI ROMA
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