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Mi sono immersa nella lettura de “La traversata notturna” di Andrea Canobbio

“E se l’amore non è questo, perdonare sempre, anche quando l’amato si rivela inaffidabile, se non è questo, cos’è?” ANDREA CANOBBIO. 

Vi consiglio di leggere un romanzo molto profondo: “La traversata notturna” di Andrea Canobbio, l’autore affronta la storia della propria infanzia trascorsa all’ombra della depressione del padre. 

Da una parte c’è la rabbia del bambino prima e del ragazzo poi che ha visto il padre piangere, subire diversi ricoveri in clinica psichiatrica,  dall’altro lato la voglia di celebrarlo, raccontare  la storia  di un ingegnere di successo, che ha costruito pezzi fondamentali della città di Torino.

La ricerca dell’autore inizia nel  momento in cui la sorella gli consegna  una borsa che contiene 420 lettere dei genitori. Sono state scritte  tra il 1943 e il 1946, ossia dal momento in cui si sono conosciuti al momento in cui si sono sposati.

 Canobbio con un lavoro a ritroso che gli è costato otto anni di certosino lavoro, per la stesura del testo, ha voluto conoscere veramente chi fossero i suoi genitori. 

“Come se la vita fosse una lunga adolescenza piena di infantilismo, è solo nella memoria dei vivi i morti si rivelassero circonfusi di saggezza magnanima e altera e diverse del loro splendore, il culmine delle loro virtù e dei loro difetti, ignorando i discendenti e continuando a tormentarli” (p. 400). 

Lo scrittore terzo dei tre figli, ha conosciuto suo padre solo come uomo silenzioso, e assorto nella sua depressione, nel romanzo invece  scopriamo che poteva  essere persino spiritoso, e che da giovane aveva amato con slancio la donna che avrebbe sposato. 

Anche il rapporto con la madre, che l’autore aveva sempre  idealizzato per la sua capacità di reggere nonostante tutto, viene messo in crisi da questo affondare nei propri ricordi. Ad accompagnare lo scrittore nella stesura del libro c’è la figura di Georges Perec ( è stato uno scrittore francese, membro dell’OuLiPo, le cui opere sono basate sull’utilizzo di limitazioni formali, letterarie o matematiche) che gli suggerisce la struttura a scacchiera (81 capitoli a cui corrispondono altrettanti luoghi torinesi, legati alla figura paterna). 

Anche se, come scrive Canobbio, non ci si libera dai propri fantasmi, al massimo li si può addomesticare, per lui la scrittura è un sintomo più di un farmaco, è la manifestazione di una ferita e un tentativo di cura.

“Fin dall’inizio avevo temuto che questo non fosse il libro per farla finita coi ricordi, ma il libro per farla finita coi libri; che scrivere ricordi così come ormai si erano ossificati nella mente significasse privarsi della Fonte da cui scaturivano tutte le storie (non grandi ricordi, non Grandi storie, ma comunque tutto quello che avevo) . (p. 450). 

Immergetevi nelle sue pagine, la traversata nei ricordi di Canobbio ne vale veramente la pena!

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