La Venere degli stracci e il messaggio da decifrare
«Che cos’è?» chiese, sporgendosi dal finestrino, l’amico che era con me in macchina, quando, a Napoli, nei giorni scorsi, attraversammo piazza Municipio. Era la “Venere degli Stracci”, opera dell’artista Michelangelo Pistoletto. Seguirono altre domande, altre considerazioni. Impegnato, da anni, sul dramma ambientale nella Terra dei fuochi, il pensiero corse subito al rischio che quegli stracci, facilmente infiammabili, potessero rappresentare. Per un motivo o per un altro, infatti, avrebbero potuto prendere fuoco e sprigionare fumi tossici nel cuore della città. La mia preoccupazione fu solo quella. Volli, allora, augurarmi che gli esperti, prevedendo come me una tale probabilità, avessero provveduto a realizzare un sistema antincendio efficace.
Confesso, feci spallucce a chi mi chiedeva un parere sull’opera. Non me ne intendevo. Al di là dei valori che l’artista voleva esprimere, però, a dire il vero, a me quella montagna colorata di indumenti vecchi non diceva granché. Vero è che non le era facile competere con la bellezza accumulata nel corso dei secoli nel luogo dov’era ubicata. La piazza, infatti, è rinchiusa tra il maestoso Maschio Angioino, Palazzo San Giacomo e il mare azzurro cui fa da sfondo quel gigante del Vesuvio che un giorno ci affascina e un giorno ci terrorizza.
Comunque la Venere era là, con il suo messaggio da decifrare. Non tutti, non sempre siamo in grado di apprezzare e interpretare le illuminazioni e l’estro degli artisti. È vero. L’arte è interessante anche per questo. Non è un caso se tanti poeti, scrittori, musicisti, pittori sono stati ignorati o bistrattati in un’epoca e osannati e venerati in un’altra. Gusti.
Credo che negli anni che verranno Napoli continuerà ad attirare turisti e visitatori da tutto il mondo. Come oggi, verranno attratti dagli scavi di Pompei ed Ercolano, dal Cristo velato, dal tesoro di San Gennaro, dai decumani, da Castel Dell’Ovo, dalla Collezione Farnese. Dubito che qualcuno sarà disposto a sorvolare l’oceano per contemplare Scampia o il Centro direzionale. Ma non è su questo che vogliamo soffermare la nostra attenzione.
Com’era facilmente prevedibile, l’altra notte, la Venere degli stracci è andata in fumo. Qualcuno ha dato fuoco al monumento. È rimasto in piedi solo lo scheletro di ferro sul quale erano assiepati i cenci. Tristezza infinita nel cuore di tutti, che, giustamente, si sono detti scandalizzati. Possibile che i napoletani non comprendano il valore dell’arte? Possibile che a Napoli non si riesce a realizzare qualcosa di buono e di bello che subito occorre fare i conti con i soliti trogloditi rimasti all’età della pietra? Lo sconcerto – piacesse o meno l’opera – era evidente. Bisognava individuare quanto prima il responsabile di tanto scempio, e capire che cosa lo avesse spinto a compiere quel gesto grave, stupido, blasfemo. Tante le ipotesi investigative. Come spesso accade, la verità, si è rivelata più banale e imbarazzante di quanto si potesse credere. Una banalità però drammatica, che ci fa spostare lo sguardo dall’arte alla sicurezza dei cittadini e al dovere della solidarietà e del decoro della città.
Ad accendere il rogo è stato un giovane clochard. Uno dei tanti senza fissa dimora che affollano le strade di Napoli, appesantendole e stimolandole con il loro malessere, la fame di pane, il desiderio di un letto, il diritto di essere curati. Un dramma, quello dei senzatetto, sotto gli occhi di tutti, ma mai affrontato con la dovuta serietà e volontà di porvi rimedio. Dramma nel dramma, quello dei tanti barboni affetti da turbe psichiatriche, quindi pericolosi per sé stessi e per gli altri. Eccolo l’uomo che non ama l’arte. Eccolo il cavernicolo che “brucia la bellezza”. Un uomo irresponsabile, fragile, che ha bisogno di essere preso per mano, aiutato, curato. Prima che qualcuno si strappi le vesti e riprenda a cantare il solito ritornello dell’immigrato straniero, vale la pena ricordare che Simone Isaia, il piromane, è un italiano. Un italiano povero, affamato, ammalato. Un fratello pericoloso. Non oso pensare se l’altra notte anziché dare fuoco al monumento si fosse scagliato contro una persona che faceva ritorno a casa.
Padre Maurizio Patriciello (articolo pubblicato su Avvenire)