Mani grandi – un racconto di Benedetta Bindi
Le sue mani erano magre, certo non come le mie. Me le ha strette e le ha portate al suo petto dicendo qualcosa che non ho percepito, poi mi ha sorriso ed è scappato via. Gli avevo dato cinque euro, era un ragazzo alto, magrissimo, aiutava a portare la spesa alla macchina, poi rimetteva il carrello al suo posto.
Io mi ero fatta aiutare, da quando vivo sola ho compreso quanto sia comodo essere in due, per questo e per mille altre cose.
Oggi non ho voglia di parlare della mia storia, oggi voglio raccontare solo di lui, di “mani grandi”.
Avevo due casse d’acqua e un bustone pieno di cibo. Lui ha riposto tutto nel portabagagli, poi io ho aperto il portafoglio, tenendolo ben serrato al corpo, per scrupolo, e per una certa diffidenza. Ho notato che non avevo spiccioli, e mi sono detta: “Ma sì dai, non fare la tirchia per una volta. E poi.. non puoi lasciarlo a mani vuote”, visto che non era uno di quei carrelli che al riporlo esce fuori la monetina. Gli ho dato la banconota, inclinando il busto un poco
all’indietro, come per mantenere sempre una certa distanza tra di noi.
Poi il terrore… Ho sentito le sue mani calde, afferrarmi entrambe le mani. Mi sono guardata intorno, era pieno giorno, le sedici per la precisione, la gente entrava e usciva dal supermercato, assorta nei suoi pensieri, non ha notato la scena di noi due. Io non nego che per qualche secondo, ho pensato al peggio, tipo: “Questo qui ora tira fuori un coltello, me lo punta al ventre e mi afferra la borsa”. Solo quando ho sentito i miei pollici sul suo petto, e i suoi occhi pieni di gratitudine nei mie, accompagnati dal suo sorriso, mi sono detta: “Calmati”.
Ho abbassato lo sguardo per timidezza, era bello il suo volto, le labbra grandi e carnose, il naso dritto, gli occhi grandi e neri. La malinconia del suo sguardo, una cicatrice sullo zigomo destro, causata da chissà quale sopruso, mi ha trafitto come un dolore. Mi sono staccata da lui, non più per paura, ma per un impulso improvviso, d’abbracciarlo. Per lenire il suo dolore, magari dopo mesi travagliati per raggiungere l’Italia, per lenire il mio, a causa di un uomo che mi ha spezzato il cuore.
L’ho visto andare via, mettendosi la banconota in tasca, e infilarsi lesto dentro il supermercato. Probabilmente aveva fame. Ho ancora in mente la sua figura vista da dietro, l’andatura lenta, la camicia bianca, con le palme verdi, disegnate perfettamente, come le sue spalle larghe, i pantaloni celesti, troppo grandi per la sua eccessiva magrezza. Prima di scomparire dietro le porte scorrevoli, si è girato verso di me, io ero dentro l’abitacolo dell’auto, ho tolto la mano dal volante e gli ho fatto un cenno di saluto, lui ha mostrato con allegria i suoi denti bianchi ed è scomparso dietro le porta a vetri.
Io mi sono sentita in colpa, per aver dubitato di lui, per non averci scambiato nemmeno due parole. Ho inserito la prima, e mi sono detta: “Dai Donatella! Forse Dio si ritira ogni tanto, come fa il mare, ma per questo non vuol dire che non ti ascolta”. Ora mentre percorro l’autostrada, con tanta speranza in testa, in cerca di un posticino carino per trascorrere qualche giorno di vacanza in solitudine e riordinare i pensieri, sento che ce la farò, ce la faremo, io e mani grandi: tutto muta come le onde del mare.