Assassinio di Giulia Tramontano. Lettera a una madre distrutta dal dolore
(da Avvenire) Siamo esausti. «Ho generato un mostro», ha detto Sabrina, aggiungendo poi: « Alessandro non era così». Non facciamo fatica a crederle. La tragedia che ha sconvolto l’Italia supera sé stessa. Se almeno l’assassino fosse un folle, saremmo al riparo dalle sferzate di questa atrocità. Alessandro, però, non è un folle. Ma, allora, che cos’è? «Un mostro» ha detto sua mamma insieme a tanti italiani. Comprendiamo il suo strazio, i sensi di colpa, la sua rabbia. Come i genitori di Giulia, però, anche lei non va lasciata sola. Soffri, Sabrina, ma non ti lacerare. Piangi, metti a nudo il tuo animo, ma non morire. Se il male genera altro male, vuol dire che ha vinto la sua battaglia infame. Se dal male più assurdo e criminale, uno spiraglio di bene si fa largo, vuol dire che la speranza, pur se arranca, non è morta. Purtroppo, a tante forme di male gli uomini hanno risposto con dei palliativi: ignorandole, cambiando loro il nome o riparandole sotto l’ombrello delle leggi. Pensiamo alla guerra, all’utero in affitto, alle mine antiuomo, allo sfruttamento sessuale di donne e bambini poveri.
Al commercio di organi ed esseri umani. Arriva, poi, il giorno in cui il male ti schiaffeggia violentemente. L’assassino è tuo figlio. Ci sarebbe da impazzire. Eppure, Sabrina, tu non hai generato un mostro, tu hai messo al mondo un uomo. Un uomo mai cresciuto, che dalla bancarella della vita, calpestando gli altri, ha arraffato quanto più ha potuto, in modo lecito e illecito. Un bugiardo incapace di tenere a bada gli istinti, le pulsioni, le passioni. Un uomo che andava aiutato a vivere; che andava educato, non solo da te, ma dalla società che, sovente, abdica a questa sua altissima missione. Ci sarebbe bisogno di una seria riflessione sul perché tanti maschi non sanno accettare e gestire il rifiuto di una donna. E, come bambini capricciosi, fanno ricorso alla violenza. Le donne non agiscono così, da questo punto di vista sono migliori di noi maschi, più mature, più umane, più capaci di gestire un rapporto di coppia problematico. Ci sarebbe bisogno di una seria riflessione sul mistero del male, sulla tragica banalità con cui spesso si accompagna. Lascia che siano gli altri, Sabrina, a maledire tuo figlio.
È difficile, lo so. Giulia e Thiago, purtroppo, non torneranno più. Per loro possiamo solo pregare. Per i futuri Thiago e Giulia, invece, possiamo ancora fare tanto. Se solo la smettiamo di essere ciechi, pigri, codardi. Di abdicare al faticoso e gioioso dovere dell’educare prima con l’esempio e solamente dopo con le parole. Fatti coraggio, sorella. Piangi tutte le tue lacrime, è tuo diritto. Continua a chiedere perdono a Giulia e alla sua famiglia, è tuo dovere e ti fa onore. Ma, appena puoi, corri da tuo figlio. Non dirgli niente, sa già tutto. È una persona distrutta, che soffoca in un imbuto senza aria e senza luce. Forza! Supera te stessa, gettagli le braccia al collo. Tienilo stretto a te, come quando, bambino, veniva a ficcarsi di notte nel tuo letto durante un temporale. Piangete insieme. Fagli luce, vaga nel buio più profondo. Si sente un Caino e lo è. Ma tu ricorda che, dopo la morte di Abele, Dio ordinò: «Nessuno tocchi Caino». Il Signore, oggi, ti chiede di affrontare le doglie di un nuovo parto, più doloroso, più angosciante. Accetta. China il capo e rispondi: « Eccomi!».
Noi faremo silenzio, ti guarderemo da lontano. Rispettosi. Comprensivi. Non ti lasceremo sola. Anche i genitori di Giulia – ne sono certo – capiranno. Nessuno oserà giudicarti. Ma, almeno tu, Sabrina, non abbandonare a sé stesso questo figlio scellerato. Tieni accesa la fiammella della pietà. In essa è custodita la speranza, senza la quale vivere è impossibile. Facci questo dono. Te ne saremo grati.