I miei giorni – un racconto di Benedetta Bindi
Il miglior modo per capire la realtà è attraverso i sentimenti.
(Tiziano Terzani)
Lo ricordo ancora, lo sforzo che facevo ogni mattina, per andare a scuola. Il suono infernale della sveglia, come un trapano mi perforava l’orecchio, quello non appoggiato sul cuscino. Ho sempre dormito in posizione fetale, un vizio che non ho mai perso. Forse mi è sempre piaciuto così tanto oziare, che sarei rimasto nella pancia di mia madre più a lungo. Nove mesi sono troppo pochi per uno come me, sarei rimasto almeno un anno, cullato nel liquido amniotico. Spegnevo quel “drinnn” odioso e rimanevo nell’oblio qualche minuto, con le lenzuola tirate sopra la testa. Spesso troppo a lungo. Di corsa mi vestivo, e andavo a fare colazione. Cosa sacra ed essenziale, senza la quale non avrei mai affrontato la giornata. Mangiavo a lungo pane e miele, sul tavolo di marmo della cucina. Impiegavo parecchi minuti per riprendermi. La colpa era dei libri, non quelli di testo, ma quelli che piacevano a me. Romanzi gialli, d’avventura, storici, biografie. Leggevo di tutto, fino a tarda notte. La mia camera somigliava più a una biblioteca, che a una stanza di un adolescente. Stipavo i romanzi in ogni angolo, divisi per autore, mentre i vestiti si accumulavano ai piedi del letto. Mia madre se non mettevo in ordine, mi lasciava la stanza sporca, anche per settimane. M’interessava poco.
Erano veramente inospitali, quei venti metri quadrati, dalle mura celesti. Non dividevo più la stanza con mio fratello, ero libero di vivere nel caos, e nella
polvere. Mi piaceva. Chiudevo la porta della mia stanza, e alzavo le spalle, fino a quando non mi decidevo di riordinarla. Infilavo ciò che rimaneva della mia colazione in bocca, indossavo il casco e correvo a scuola. Sia che ci fosse: pioggia, sole o vento. Capitava di frequente di entrare in classe, e sentire a ogni passo un piccolo: “Splash”, all’interno della scarpa. Credo fosse per questo, che mi venivano ripetute febbri, che io accoglievo come una benedizione, perché mi permettevano di rimanere a casa e di dormire fino a tardi. Seduto sul mio motorino, guardavo le persone chiuse nel loro abitacolo, sognavo di diventare al più presto un adulto. Volevo anch’io stare al caldo come loro, magari ascoltando la radio. Ero convinto, fosse una delle più grandi godurie della vita. Lo pensavo soprattutto d’inverno, quando mi si gelavano le mani, perché puntualmente dimenticavo i guanti a casa.
Mia figlia invece, la lascio ogni mattina sotto la sua scuola, dista poco da quella dove insegno. Lei non rischia di prendere freddo, lei non entra mai in ritardo. Il motorino non me l’ha mai chiesto. Sa che sua madre lo odia, io magari avrei ceduto. Perché la mia ragazza ha un modo di chiedermi le cose, che tra baci e abbracci vacillo, mi escono dalla bocca dei: ”Sì”, anche se spesso vorrei dirle l’esatto opposto.
Paola si sveglia e trova la colazione pronta, a me non era concessa tanta grazia. Io ero il più piccolo di tre fratelli, quando andavo al liceo io, loro lavoravano già. I miei genitori mi hanno cresciuto come se avessi la loro età, anche se tra me e il più grande, c’è una differenza di dieci anni. Claudio e Sebastiano sono andati a lavorare a Monaco con mio zio, quando io ero al secondo anno del liceo. Mi sono trovato improvvisamente: figlio unico. Una sensazione che mi godevo appieno, tanto l’avevo sognata. Una camera tutta per me, senza l’obbligo di tenerla in ordine, niente più liti per andare al bagno, niente pacche sulle spalle, niente: “Ciao Gongolo”, quando chiudevano la porta di casa. Loro entrambi alti, atletici, vitali, mi sentivo come liquido ad averli vicino. Io piccolo di statura, schivo e antisportivo per eccellenza.
L’inadeguatezza che sentivo nei loro confronti, l’ho usata, l’ho trasformata in una strategia. Nessuno si aspetta niente da chi è inadeguato, nessuno pretende niente. Vuol dire mettersi fuori gioco. Evitare la colpa. I miei genitori puntavano tutto su di loro, volevano imparassero più cose possibili dallo zio. Sognavano per loro una carriera da manager. Avevano ragione. Loro si sono dimostrati all’altezza delle loro aspettative. Sono tagliati per quella vita, io no. Soddisfatti dei figli maggiori, i miei genitori mi hanno sempre lasciato libero di decidere. Qualsiasi cosa dicessi, acconsentivano. Appena sono partiti i miei fratelli, ho chiesto il motorino, perché ero stanco di aspettare alla fermata. Subito mio padre ha detto: ”Sì”. Ha pensato che avrei evitato i molteplici ritardi, dei quali le professoresse si lamentavano. Poi quando ho deciso di fare lettere, hanno festeggiato, non speravano m’iscrivessi all’università. Ancora adesso, quando ci vediamo con i miei fratelli, il loro atteggiamento nei miei confronti, è rimasto lo stesso. Soprattutto perché io sono un professore d’italiano, e loro degli amministratori delegati, che portano a casa ogni mese, il mio stipendio di un anno. Ultimamente ripetono all’unisono, quando mi vedono: “Ma tua figlia sei sicuro sia tua? È troppo bella… Per me la
Monica…”.Poi si guardano e ridono, come facevano quando ero piccolo.
In ogni caso senza di loro in casa, la mia adolescenza è stata un sogno. Finite le cinque ore canoniche di scuola, rientravo a casa, scaldavo al microonde un piatto, che mia madre aveva preparato la sera prima, e mi buttavo sul divano a leggere. I miei pomeriggi erano pura pigrizia, lo sapevo, e provavo un vago senso di colpa, ma anche un profondo piacere. Lo stesso di adesso, quando in casa non c’è nessuno. Dovrei fare attività fisica, sto ingrassando. Potrei andare al parco sotto casa a correre, è bello grande, ricordo che io e mia moglie comprammo quest’ appartamento anche per questo. Quando mia figlia era piccola, ci siamo andati spesso in quei viali verdi, ore e ore sue e giù con il passeggino. Soprattutto io, conoscevo tutte le mamme, e le babysitter della zona. Ada, mia moglie, il pomeriggio era spesso occupata, a impartire lezioni di pianoforte. Poi nel tempo, sono iniziati i corsi di danza di Paola, d’inglese, i compiti, e quello splendido parco l’abbiamo vissuto sempre meno. E in un attimo, mia figlia è diventa un’adolescente. Alla sua età, io ho messo le basi su quello che sarei diventato in futuro. Paola invece, non credo abbia capito cosa vuole dalla vita, la vedo piuttosto confusa e questo confonde anche me. Tra un mese compirà diciassette anni: legge poco, non ascolta la musica. Alla sua età io divoravo romanzi e cd, il mio gruppo preferito era dei Sex Pistols. Mi piaceva moltissimo una canzone: “God save the queen”.
L’ascoltavo a tutto volume con le cuffie, e ballavo. Quando uscì questo singolo, la contestazione della monarchia non era molto apprezzata, almeno non con espressioni come: “Dio salvi la regina e il suo regime fascista”. Fu censurata molto e venduta molto, forse proprio per questo la trovavo meravigliosa e ribelle.
Paola se le chiedo cosa ascolta, risponde: ”Un poco di tutto”. Che vuol dire?
Alcune volte mi sembra di avere un’estranea dentro casa, esce ed entra dal nostro appartamento. Studia a intermittenza, eppure passa sempre. Potrebbe avere voti molti più alti, ma ormai ho smesso di litigarci e poi a ben pensarci, io ero anche peggio di lei alla sua età. Ero obbligato a fare sempre ripetizioni di qualcosa, latino o matematica. Lei no. Mi sono divertito all’università. Mi piaceva tanto lettere, che quando vidi la lista degli esami, provai la stessa sensazione che ebbi quando mia
madre mi disse, con le lacrime agli occhi, che i miei fratelli sarebbero partiti per Monaco. Fisicamente Paola è il mio esatto opposto. Alta e bionda, io medio nero e peloso, anche nei punti dove la maggior parte degli esseri umani ne hanno pochi, tipo la schiena. Lei è bella, forse anche troppo per i miei gusti, temo sempre che qualcuno possa saltargli addosso, o avvicinarsi a lei solo mirando a quello. Fortunatamente non si veste in modo appariscente, come molte sue amiche o come alcune ragazzine.
Io insegno italiano e storia al liceo, una volta mi sono permesso di dire a un genitore, che la figlia si vestiva in maniera troppo appariscente, e questo offeso mi
rispose: “E lei non la guardi”. Da quella volta lascio sia la Preside, a occuparsi di queste questioni, ma se vedessi Paola andare a scuola, con pantaloni attillati e il tanga che viene fuori, non la farei uscire. Lei ha avuto sempre tanti ragazzi che le andavano dietro, sin da piccola. Ricordo due gemelli Alfredo e Ludovico, rimanevano ore incantati a guardarla, mentre lei giocava con le amiche sotto l’ombrellone. Passeggiavano su e giù in riva al mare, parlavano con il bagnino e la spiavano. Io e mia moglie ci ridevamo. O Alessandro il suo compagno storico delle medie, che la veniva a prendere e la riaccompagnava a casa, anche se lui abitava in un altro quartiere. Paola credo ha sognato sempre d’innamorarsi di un bell’indifferente, sì uno tipo che la considerasse poco. Forse perché non si faceva avanti nessuno con queste caratteristiche, ha cominciato lei a prenderne il posto, a somigliare alla figura maschile della sua immaginazione. Non è per niente sentimentale, lo considera il maggior difetto delle donne. Ieri le ho chiesto se aveva un ragazzo, così tanto per parlare, eravamo io e lei a farci una cioccolata calda insieme, era un bel momento, in casa avevo messo un po’ di musica, il sole filtrava dalle finestre della cucina. Mi piacciono certe atmosfere, credo concilino il dialogo, e lei invece mi ha detto: “Prendo chi mi piace, poi li lascio appena si fanno appiccicosi, proteggo la mia libertà papà. E non scelgo sempre gli uomini, a volte può interessarmi anche una donna”.
Io mi sono sentito male, mi sono rabbuiato. Le sue parole hanno bloccato la musica, oscurato il sole. Lei ha notando la mia reazione ha detto: “Papi sei vivo? Dai, non sto con una ragazza, ma ti dico potrebbe anche capitare” poi mia ha dato una pacca sulla spalla, come facevano i miei fratelli ed è andata in camera sua a studiare. La sera a letto ne ho parlato con mia moglie, lei rideva, mi ha detto che sono antico, fuori dal mondo, che Paola sperimenta. Ieri mia figlia l’avrei presa a schiaffi! Fa certe affermazioni… Sapendo che per me sono colpi al cuore, non è giusto. Io sono un sentimentale, e sono per la famiglia classica, anche se mi dichiaro aperto, nel profondo vorrei vederla fidanzata con un uomo. Ho compiuto cinquanta tre anni, e in un periodo nel quale dovrei essere equilibrato, perché ho un’età, non lo sono. D’improvviso mi ritrovo in una specie di crocevia, e tutto mi sembra come capovolto. Forse perché tutto sta cambiando a un ritmo troppo veloce…
L’altro giorno a mia figlia volevo urlarle: “Prova tutto brava, fai quello che vuoi, ma non dirlo a me, deciditi se ti piacciano gli uomini o le donne, perché nel mezzo non si può stare ”.
L’altra sera è stata invitata a una festa, l’ho vista uscire con un cappottino rosso, i pantaloni di pelle e gli stivali. In testa portava un cappello piantato un po’ storto, sulla sua lunga e bionda capigliatura. Era bella da non sembrarmi reale, da non capacitarmi come possa essere diventata anche così lunga, io e mia moglie siamo piccoli. Camminava adagio, con le mani in tasca, poi si è guardata un minuto allo specchio nell’atrio. Ha osservato i suoi occhi celesti, le labbra strette, la fronte decisa. Poi si è voltata, è venuta in direzione del divano dove mi trovavo, mi ha dato un bacio sulla guancia, caldo e forte, con le sue labbra morbide. Ho pensato dove si sarebbero posate quella sera, su quale fortunato o fortunata. Come quando al liceo le prof, sceglievano i posti di banco, a rotazione ogni sei mesi, e a qualcuno capitava Lucrezia Gentili. L’ho amata tanto, in silenzio, per tutto il periodo del liceo. L’ultimo anno ebbi la fortuna di capitarci insieme al banco. Fu come vincere alla lotteria, il mio stato di eccitazione giornaliero era terribile. Ma mi alzavo dal letto felice , come se andassi a una festa non a scuola. Studiavo molto per
aiutarla nei compiti in classe, per poterle essere utile, credo che il mio alto voto inaspettato, alla maturità, lo devo in parte a lei.
L’altro giorno poi, è capitata una cosa inimmaginabile. Devo dire che la prima cosa che ho pensato è stata: ”Per una sorpresa come questa brucio tutti i miei libri”. Ho incontrato Lucrezia, dopo trentasei anni. Era al banco del pane del supermercato. Ne ho riconosciuto la voce. “Due panini azzimi, e qualche tarallo grazie”. Mi sono voltato di scatto, tenevo le mani sul carrello poco distante da lei. È sempre bella, si è mantenuta magra, rughe ne ha poche, forse le attenua, in ogni caso, le
poche che ho osservato le donano. Come ha preso il suo pacchetto tra le mani e si è girata, mi ha riconosciuto subito. Ha detto a voce alta: “Matteo Catalani, che bello rivederti”, e mi ha sorriso. Io ho sentito un calore salirmi sulle guance, qualche persona si è anche voltata a guardarmi. Mi ha chiesto se ero sposato, se avevo figli, poi sorridendomi senza malizia, mi ha detto: “Peccato, non mi hai mai invitato a uscire, ero pazza di te”. A quel punto mi sono sentito le gambe deboli,
pensavo di svenire, era troppo per me rivederla e sentirmi dire certe cose. Ma forse ubriacato dalla troppa emozione, le ho solo risposto: “Tu mi mettevi paura! Eri troppo bella, e lo sei ancora”.
Non so come ho avuto il coraggio, era come mi fossi trasformato in un super eroe, mi sono sentito coraggioso. Lei mi ha sorriso e mi ha detto: “Ma smettila, tutti dicevano che te la facevi con Silvia”.
Silvia! Una ragazza del mio palazzo, che veniva al nostro Liceo. Mia mamma, che tra le sue varie doti, sa anche cucire, le faceva qualche gonna o degli orli ai pantaloni, lei in cambio mi aiutava in matematica e latino. Quando m’incontrava nei corridoi, questa ragazzina mi salutava sempre con un bacio sulla guancia, per affetto. Io non le piacevo affatto, lei era una donna, io ero secco e dieci centimetri più basso. A lei piaceva uno dei miei fratelli. Ho fatto un sorrisetto a Lucrezia, per
darmi un tono, per far finta di avere avuto una storia con Silvia. Ormai il tempo passato non potevo modificarlo, tanto valeva non fare la parte dello sfigato. Non le ho detto a Lucrezia che per lei, ho sofferto cinque lunghi anni, che la sognavo anche la notte. E quando d’estate mi capitava di baciare qualche ragazzina, chiudevo gli occhi e immaginavo fosse lei. Così ci siamo salutati e io ho continuato la mia scelta dei surgelati. “Non ha avuto figli”, lo ripetevo a mente, curioso di sapere
se non poteva averli, o se non gli aveva voluti. “Per ora vivo sola” mi ha detto, quel per ora mi fa pensare abbia già qualcuno, o lo desideri. “Lavoro in uno studio legale, accanto al supermercato, sono un avvocato civilista. Da poco ci siamo trasferiti qui”.
Probabilmente la rivedrò, la mia vita non cambierà, io continuerò ad andare a lavoro, a fare la spesa, a leggere i miei libri, a stare con mia moglie. Un tempo sarei stato euforico al pensiero di rivederla , sarei passato al supermercato ogni giorno, e se non l’avessi incontrata, malinconico, avrei girato per la città e mi sarei comprato dei libri, avrei pensato a tante cose, le avrei scritto una poesia e mi sarei creduto d’essere intelligente.
Ma oggi… La bellezza del modo si dividerà sempre in un due, una parte che ci fa soffrire, e poi c’è una parte che ci fa stare bene. Nella seconda vivono le cose che amo. La mia famiglia, i romanzi, il mio divano blu. Con Lucrezia forse, potrebbe accadere quello che ho immaginato per anni, ma il tempo trascorso è perduto, per
sempre. E mi mette tristezza, a immaginarmi con lei in un letto. Quello che ho adesso, nessun dubbio l’ha mai spezzato, mai. Questo pensiero mi ha raddrizzato, non mi sento più capovolto, come qualche giorno fa, ma fortunato di quello che ho. A volte serve un evento, o una persona per ricordarcelo.
di Benedetta Bindi