Enea, il neonato affidato alla culla per la vita
“ La gloria di Dio è l’uomo vivente”, scriveva Sant’Ireneo. Enea è vivo e rende gloria a Dio. Con gli angeli in cielo fanno festa gli uomini sulla terra. La storia di questo neonato affidato – non abbandonato – alla culla della vita della Mangiagalli di Milano ci costringe a riflettere, ancora una volta, sui problemi inerenti al tempo della gravidanza. Una donna incinta è una persona che merita la massima attenzione da parte non solo del compagno, della famiglia, ma dell’intera società. Un bambino che nasce appartiene a tutti, è una vittoria di dimensioni ciclopiche. I problemi che attanagliano una donna in attesa possono essere tanti e tanto diversi tra loro. Tutto – ma proprio tutto – deve essere tentato, per permettere a chi si affaccia alla finestra della vita di venire al mondo. Ancora oggi non tutti sanno che è possibile partorire in anonimato e lasciare che il neonato venga accolto in una famiglia che gli vorrà bene. La mamma di Enea merita di essere elogiata. Enea non è stato abortito. La sua mamma gli ha fatto un dono immenso. Bella e consolante è la solidarietà scattata nei suoi riguardi, le tante promesse di aiuti e gli inviti a ripensarci. Ma anche se non ritorna sui suoi passi, merita, da parte di tutti, un grazie grande quanto il sole. Enea è vivo. Nelle condizioni in cui è stato concepito, tanti, purtroppo, vengono gettati via.
Per loro nessuna opportunità, nessuna pietà. Enea ci dice che le culle per la vita devono essere moltiplicate a dismisura in tutta la penisola. Che andrebbero pubblicizzate anche in televisione, almeno come si fa per i pannolini. Con un linguaggio semplice e accattivante. Con l’aiuto delle donne e degli uomini dello spettacolo, dello sport, della canzone. Un bambino che nasce vale più di tutti i pianeti, le stelle e i buchi neri messi insieme. Solamente poche ore fa, mi è arrivata la foto – bellissima – dell’ultimo bambino salvato da aborto certo. Tutti remarono contro. Il piccolo sarebbe nato – parola dei ginecologi – con una leggera malformazione. La paura dei genitori era tanta. Anche le loro condizioni economiche non erano floride. Ci siamo fatti accanto. Con semplicità. Senza giudicare, senza condannare, senza arrenderci. Abbiamo promesso il nostro aiuto, di qualsiasi genere, compreso quello economico. Abbiamo pregato. Il bambino è nato. Ed è nato sano. Sano. Non chiedetemi come sia stato possibile, non lo voglio sapere, bisognerebbe interrogare – e forse denunciare – coloro che hanno fatto la diagnosi prenatale. Ma non è questo che mi interessa.
Quel che più mi rende triste è la facilità, al limite della banalità, con cui tante volte si consiglia a una donna di abortire. Dimenticando di mettere in pratica proprio la legge 194 che chiede di fare di tutto perché la gestante in difficoltà non ceda allo scoraggiamento. Ben sapendo che – come tutti si affannano a ripetere – l’aborto non è una passeggiata, ma un dramma che non lascia indenne nessuno. Purtroppo non è così. La prima parte della legge 194 solo poche volte viene osservata. E abortire rischia di diventare una questione di routine. Giunti a sera tutti fanno ritorno a casa, anche se con sentimenti diversi. Nel conteggio manca lui, il protagonista, il diretto interessato, quel bambino – unico, irrepetibile – che non vedrà mai la luce. Come noi aveva avuto l’opportunità di nascere, un’ opportunità che gli è stata negata. Ad Enea quest’ opportunità la sua mamma gliel’ha data. Con grande sofferenza, gliel’ha data. Enea è vivo. Mangia, beve, respira. Sorride, dorme, piange. Tra poco imparerà a camminare, a correre, a scrivere. Diventerà uomo e darà vita ad altre vite. Grazie, signora Angela, mi permetta di chiamarla così. Grazie per il coraggio che ha avuto. Grazie per averci ricordato che se solo lo volessimo, senza fare gli eroi, senza dichiarare guerre stupide a nessuno, senza nasconderci dietro il mignolo, se solo lo volessimo, avremmo, adesso, in questo momento, la possibilità di limitare drasticamente il numero degli aborti, in Italia e nel mondo. Benvenuto, Enea. Benvenuto su questa pallina che tra qualche anno anche tu chiamerai terra. Una terra tragica e bella. Benvenuto, piccolo uomo, “ gloria di Dio”, fratello nostro.
Padre Maurizio Patriciello
(articolo tratto da Famiglia Cristiana)