Radici – un racconto di Benedetta Bindi
Mi piacerebbe scambiare tutti i miei domani per un solo ieri.
(Kris Kristofferson)
È un caldo pomeriggio di agosto, quando Claudio impegnato a gonfiare la ruota della bicicletta, posa lo sguardo nell’angolo del pavimento. Una voluminosa crepa gli ha rotto parte del giardino. Continua a fare forza sulle braccia, senza distogliere lo sguardo da quel segno in rilievo. Non ne è preoccupato, anzi ne è quasi felice, perché gli ha interrotto i ricordi su Elena. Non ha mai avuto parole per descriverla ai suoi amici, perché lei è sempre stata un’emozione troppo forte. Forse per alcuni non è più così bella, aveva sentito dire da un vicino di ombrellone che era invecchiata. Lui con certezza sa che la potrebbe paragonare alla sua canzone preferita : “Where is My Mind?” dei Pixies, o alla carbonara che non si stancherebbe mai di mangiare.
L’ha rivista ieri, dopo anni, sulla spiaggia. Così da vicino da togliergli il sonno. Cerca di concentrarsi meglio sulle mattonelle, appoggia la bici al muretto e si dirige verso l’angolo. Osserva cosa ha causato la loro rottura del pavimento: una radice. Possibile si domanda che la natura entri nella realtà della sua vita, così prepotentemente da spazzare via anche pensieri che rischiano di farlo soffrire? La Magnolia del vicino ha camminato velocemente sotto terra, fino ad arrivare da lui. Si dovrà occupare della faccenda, avvisare Alessandro. Si conoscono da trent’anni, troveranno una soluzione, sono entrambi contro l’abbattimento delle piante, proteggono dal caldo, dall’inquinamento. Però nemmeno potrà fare avanzare le radici, fino a quando il suo pavimentato avrà l’aspetto da post-terremoto. Pensare a una soluzione, questo lo desta da un incubo che lo tormenta, la convinzione di essere nato per dire sempre addio. Guarda bene le radici: sono venute a creargli un altro problema o a salvarlo?
Crede siano più un salvagente in mezzo al mare, in quel caldo pomeriggio d’estate. O meglio, sono come quando qualcosa di orribile ci appare in sogno e al nostro risveglio restiamo sollevati aprendo la finestra e guardando fuori. La Magnolia gli sembra la prova vivente di qualcosa di migliore della sua complicata esistenza. Prende una busta della spazzatura, toglie con le mani le mattonelle rotte e le getta nel cestino. Decide che è ancora troppo caldo per annaffiare, un’idea che gli era balenata in mente poco prima, perché stare con la pompa in mano, sentire l’acqua che scorre lo rilassa. Potrebbe rimanere così per ore, ovviamente non lo fa, sprecare non è da lui. Ricorda come Maddalena, la sua ex moglie, detestava il suo essere attento a ogni cosa: la doccia doveva essere rapida, l’elettricità usata con parsimonia. E poi le discussioni interminabili per il cibo, per lui non andava mai gettato, perché gli avanzi vanno mangiati il giorno dopo. Mentre lei buttava nella
pattumiera tutto dopo due giorni (direi ore, anche lui probabilmente butta dopo due giorni), perché non era più fresco. Tira indietro i capelli, i pochi rimasti, con entrambi le mani, il pensiero di Maddalena, il suo modo di vivere, gli procura rabbia al solo pensarci. Così si mette a guardare il prato del suo giardino, aspetterà l’ora di cena, si dice, il sole gli pare troppo caldo. Poi guarda la siepe, ai due lati del cancello bianco. É orgoglioso di come l’ha tagliata, osserva l’orizzontale perfetto. A mettere ordine fuori è bravo e farlo all’interno di se stesso che gli pare impossibile.
Va in cucina, si prende una birra e si siede in veranda, sul dondolo a righe bianche e arancione. Guarda la pianta del vicino, immensa, le sue foglie, i fiori bianchi. Ricorda tutte le rose, le orchidee che ha regalato nella sua vita. Non gli è mai piaciuto donare un vestito, un gioiello, ma solo viaggi o fiori recisi. Sono come lui, senza radici. Ha provato a metterle ma il suo matrimonio è durato sei anni, la sua storia più lunga. Hanno camminato insieme per un po’, poi lei è andata a destra e lui a sinistra. Non c’era nulla da fare, nulla da recuperare, separarsi, divorziare è stato per lui come un dovere etico. Un rispetto verso i suoi principi, quelli che lei detestava.
Elena ripete la sua mente, Elena.
Sente per lei un forte legame, non sa nemmeno lui perché resiste nel tempo, forse proprio perché non è mai cominciato davvero. Com’era bella ieri, da credere in un primo momento di essersela immaginata. È rimasto per qualche minuto in silenzio, a osservarla, come fosse un’opera d’arte. Lei è uscita dalla cabina, mentre lui con i boxer ancora bagnati per la doccia appena fatta, stava dirigendosi al sole. Poco prima si era guardato allo specchio, aveva costatato che il suo fisico portava ancora bene i suoi cinquantaquattro anni. Spalle larghe grazie a vent’anni di nuoto, fisico asciutto grazie alla corsa che si concede ogni mattina. Elena gli ha aperto la porta d’improvviso, come se qualcosa stesse andando a fuoco e lei dovesse scappare, nel momento esatto nel quale lui passava. A lui sarebbe piaciuto cadere tra le sue braccia, invece le aveva solo pestato il piede. Lei aveva riso, poi guardandolo e posando una mano davanti alla bocca, forse per lo stupore gli aveva detto: “Claudio!!! Scusami! ”, e poi come se si fossero visti il giorno prima era scoppiata in una risata. Lui non era riuscito a dirle nulla, tanto era tramortito a trovarsela lì davanti. Sorridergli era l’unica cosa che gli era venuta naturale. Mentre Angela sua cugina, che stava arrivando con due boccette d’acqua in mano, divertita perché aveva visto la scena da lontano, faceva no con la testa. Poco dopo si erano gettati tutti e tre in acqua. Lui aveva già fatto il bagno, ma non voleva perdere l’occasione di stare vicino a Elena.
Erano trascorsi cinque anni, dall’ultima volta che si erano visti. A lui era capitato di cercarla sui social. Ogni volta che le appariva una sua foto di lei, con il marito o con i figli passava ad altro. Gli faceva male la consapevolezza di quanto aveva perduto. Sentiva dentro di lui un’ondata insopportabile di rimpianto, per non aver lottato veramente, quando era tempo di farlo, per non averla convita a seguirlo. Tra una bracciata e l’altra, nuotandole a fianco, avevano parlato di tante cose: politica, ambiente, televisione, luogo nel quale lei lavorava, ma non dei rispettivi coniugi. Forse anche Elena voleva dimenticare che erano entrambi sposati, o meglio lui lo era stato. Mentre allungava le braccia nell’acqua, cercando di fare un dorso perfetto, con la coda dell’occhio la osservava. Era preso da una domanda: “Lei era a conoscenza della sua situazione? Angela le aveva detto che si era separato, o che ora conviveva con un donna francese?”. Si stesero insieme sulla battigia, lei a prendere il sole, lui a guardare il mare. Le onde s’impennavano, cadevano, e poi si ritiravano. In quel momento gli sarebbe piaciuto urlare: “ Questo è tutto, tutto quello che desidero”.
Sua cugina intanto si era allontanata. Con Angela Claudio aveva un ottimo rapporto, ogni estate si frequentavano, avevano entrambi la casa in quella piccola cittadina di provincia. Era una donna particolare, sempre impegnata in opere di volontariato. Lavorava in una ditta farmaceutica in Svizzera. Era piccola, esilissima, sempre sorridente. Non si era mai sposata, forse era l’amante di un uomo sposato? Forse le piacevano le donne? Oppure gli interessava solo vivere per fare del bene agli altri, al punto che nella sua vita non c’era spazio per una relazione? Questo a lui non era dato saperlo. Emanava energia, lui percepiva, proprio come fosse una pianta. Chiacchierava volentieri con lei, aveva un tono di voce calmo, era colta, parlava quattro lingue e non c’era argomento del quale non sapesse qualcosa. E poi trasmetteva un senso di concretezza, quello che a lui era sempre mancato. A volte seduto con lei sulla spiaggia, gli sfuggiva qualche commento tagliente su qualcuno, un amico, un passante. Lei lo riprendeva: “Claudio piantala, nemmeno tu sei perfetto, non giudicare e non sarete giudicati, non condannate e non sarete condannati”.
Messe a confronto le due cugine erano il bianco e il nero. Elena era alta e riccia, Angela filiforme. Alla prima piaceva spettegolare delle persone che coloravano lo
stabilimento, si divertiva, la seconda era senza giudizio per alcuno. Con lei Claudio si sentiva al sicuro, vicino a sua cugina invece un funambolo. Avere Elena a fianco, gli dava la sensazione di cadere da un momento all’altro nel vuoto, se solo avesse fatto un passo falso. E con lei era accaduto davvero, molti anni prima.
Prese un sorso di birra e iniziò a dondolarsi osservando i suoi piedi. Li trovava davvero molto lunghi, lui era alto, aveva sempre avuto il quarantaquattro, ma con l’età era cresciuto di un numero, se non di uno e mezzo. Gli sembrava una contraddizione con il suo animo poco ancorato a terra avere quelle dita lunghe, che uscivano dai suoi vecchi infradito, quasi a volersi arpionare nel terreno. Si mise a osservare una fila di formiche camminare tutte in fila, proprio davanti alla
punta del suo pollice destro. Erano come un esercito in addestramento, gli sembrava fissassero un punto dritto davanti a sè. Quello che a lui era sempre mancato. Gli sarebbe piaciuto essere come loro, laborioso, privo di distrazioni, senza quel brontolio di pensieri nel cervello, che gli procurava un senso d’insoddisfazione perenne.
Distese la schiena sul dondolo, con le gambe piegate. Osservando le chiome dei pini, si domandava perché? Perché non aveva fatto capire a Elena quanto lui teneva a lei? Le aveva domandato perché non era arrivata insieme ai suoi figli e suo marito, lei aveva abbassato lo sguardo e non aveva risposto. Dal suo silenzio aveva capito che nascondeva qualcosa, ma per discrezione non le aveva fatto più domande. Quelle gli si moltiplicavano nella mente, a grappolo, in silenzio. Erano stati insieme fino al tramonto, lei non gli aveva domandato nulla della sua vita, solo qualche domanda sulla sua professione. Se era felice di lavorare molto da remoto, come andava la ditta della quale era uno dei responsabili. Ma se era ancora sposato, divorziato, nemmeno una domanda. Evidentemente sapeva già tutto, si disse. Si erano salutati con un: ”Ci vediamo domani” , anche se lui sapeva che era un addio perché il giorno dopo non sarebbe tornato al mare. Infatti aveva passato tutta la giornata a casa. Elena gli aveva detto che sarebbe arrivato suo marito con i figli, Claudio non aveva voglia d’incontrarlo, gli era sempre sembrato snob, altezzoso, e poi come poteva stargli simpatico: doveva esserci lui al suo posto.
Va in cucina e prende un’altra birra. Perché, si domanda non l’ha invitata a cena? Si siede e ricorda l’agosto di vent’anni prima. Erano seduto con Elena sulla spiaggia, lui aveva portato anche il suo cane. Era notte, c’era la luna, il cielo stellato, un quadretto da cartolina. Si erano seduti vicino alla riva, il cane giocava con un legnetto, continuava a girare intorno a loro senza sosta. Ha tutto in mente con chiarezza, e ancora di più gli torna il ricordo del vestito verde e corto di lei, i
sandali neri con la fibbia a ferro di cavallo. Mentre lui parlava, Pongo aveva messo il muso sulla sua coscia, lei lo carezzava. Poi era fuggito improvvisamente e si era messo a correre. Claudio aveva avuto la netta sensazione che la risposta alla sua domanda, se lei volesse seguirlo a Roma per un po’, vivere a casa sua, sarebbe stata negativa. Infatti poco dopo gli era arrivato un chiaro no.
“ Claudio questi giorni trascorsi insieme sono stati belli, meravigliosi, tu mi rendi viva. Ma sono un errore. Tra meno di sei mesi mi sposo con Giovanni e così deve essere, perché sono fidanzata da tre anni, perché tu sei arrivato all’improvviso, dopo anni che vivevi all’estero e mi ha stravolto. Con la tua energia, con le tue parole, mi hai ipnotizzato capisci. E mi sento persa, e non voglio, non posso permetterlo. I miei genitori sono felici che abbia trovato un marito, non voglio farli più
soffrire. Gli ho sempre fatti penare , per il mio carattere, per il miei amori sbagliati, se ci ripensassi ora che sono quasi arrivata all’altare gli spezzerei il cuore ”.
Per Claudio il destino del suo amore era racchiuso nel suo cane: se solo lui avesse posato il muso sulla fibbia a ferro di cavallo delle scarpe di lei , invece che sulla sua gamba, la risposta sarebbe stata positiva. E ieri se ne sarebbe fregata di tutti, perché si parlava della sua vita, invece ancorata alla vita degli altri aveva deciso di non seguirlo. Lui era convinto che nei dettagli, possiamo scoprire le risposte che cerchiamo con le nostre fragili menti. Così si era alzato turbato e le aveva detto: “Addio”, in modo brusco. Poi era scappato lasciandola sulla riva, aveva camminato a lungo senza girarsi. In quelle quattro lettere era condensato tutto il suo dolore.
Da quel giorno si erano rivisti ogni tanto al mare, di sfuggita, un saluto, un sorriso, una piccola frase. Solo ieri aveva trascorso un intero pomeriggio con lei. Posò sul tavolo la bottiglia di birra vuota e si disse perché lo stava facendo? Perché voleva farsi del male con quei ricordi. Perché aveva preferito Giovanni a lui? Perché era una certezza? Una sicurezza? Un uomo stabile? Perché voleva figli e non perdeva tempo a osservare le formiche, le chiome degli alberi, perché lui non era nato per dire: “vai”, perché lui aveva radici. Tutt’un tratto sente delle voci, lo sportello di una macchina chiudersi. È arrivata Camille, con i suoi due figli. Si tira su in piedi con un sospiro. Elena è sempre rimasta incollata nella sua mente, come quegli adesivi che si vedono alle finestre delle camere dei bambini. Nel tempo i figli crescono, diventano grandi, tu invecchi. Però entrando nella loro stanza, quando loro sono ormai grandi, provi una nostalgia dolorosa da sopportare, per quel tempo che non potrà più tornare. Quello dove noi eravamo il mondo per loro, e ci fermavano dal giornalaio a comprargli le figurine. Quelle rimaste appiccicate al vetro, ingiallite dal tempo. Claudio si dirige al cancello, domani partirà per la montagna. Il suo tempo si muove in una direzione, i ricordi in un’altra. Vede un’altra radice che fa capolino da un’altra mattonella, sorride,sarà un motivo in più per tornare al mare.