E’ il momento di ridare fiato alla pietà
RICORDI – Una scena stupenda ma straziante. Due corpi che si abbracciano, si avvinghiano, per non lasciarsi più. Lei, Chiara, la mamma, è una donna ancora giovane. Lui, Emmanuele, ha sedici anni appena, l’età dei primi appuntamenti, del primo amore. È sfinito, stravolto, stanco. Lotta da anni con la leucemia. Alla fine il corpo a corpo lo ha stremato. Sembrava che avesse vinto la battaglia, come un fiume carsico invece, la iena è ritornata.
Ha combattuto con la grinta di un leone, insieme ai genitori e ai fratellini. Oggi la sua voce è un rantolo, e gli occhi già non vedono. Arde per la febbre che brucia le sue carni. Si lamenta, stringendo tra le mani la corona del Rosario; sul comodino il Bambinello gli tiene compagnia. Sotto il guanciale l’immaginetta sacra con la preghiera tante volte ripetuta: “ Gesù crocifisso, sempre ti porto con me. A tutto ti preferisco. Quando cado, Tu mi risollevi. Quando piango, Tu mi consoli. Quando soffro, Tu mi guarisci…”. Ieri l’abbiamo pregata insieme, oggi non riesce nemmeno a sussurrarla.
La croce si è fatta più pesante, il sentiero più ripido e tortuoso.
Emmanuele tenta di salire; arranca, si trascina, ma inciampa, barcolla, cade. Come Gesù. Come Maria, la sua mamma gli sta accanto. Se lo stringe al petto. Col suo corpo lo ripara dalla morte che sente aggirarsi per la casa. Sta in agguato come una leonessa. L’aspetta per invocar pietà, per offrirsi al posto del ragazzo. Lo bacia mille volte. Come un’ape appollaiata sulla rosa, vuole succhiarne il nettare, prima che appassisca. Non piange, Emmanuele capirebbe. Domani, forse… Oggi deve rassicurare il figlio: “ Sta sereno, Manu … Non ti preoccupare, non è niente… Mamma tua sta qui vicino a te. Passerà anche questa volta, vero? Come il mese scorso in ospedale… Ricordi? Il dottore sta per arrivare. Guarda Manu, guarda chi è venuto a farti visita…”.
Non sempre la bugia è peccato. A volte nasconde un amore senza limiti.
Le guance si accarezzano, si sfiorano. Quelle scavate della mamma e quelle gonfie del cucciolotto suo. È divenuta una cosa sola con il figlio, questa donna coraggiosa e fragile. Come quando lo portava in grembo. Vive dei suoi respiri. Prega. Non inveisce mai. Ritorna la domanda antica: “ Dio dove sei?”. Bisogna resistere alla tentazione di dare risposte improvvisate. Niente deve andar perduto di questo tesoro acquistato a caro prezzo. Il Signore è lì che geme e soffre insieme a loro. Discreto, attento, silenzioso, non li ha mai lasciati soli.
Il dolore gli uomini non lo sconfiggeranno mai. Hanno invece il dovere di alleviarlo. O di assumerlo. Come Gesù che prende su di sé i peccati e le pene di tutti gli uomini di tutti i tempi. Come Chiara che ha fuso la sua vita con quella del figliolo.
Dobbiamo farci cirenei per caricarci sulle spalle una croce che non è nostra; per risollevare chi non può rialzarsi; per accogliere chi, dopo tre notti passate su un barcone malandato in balia delle onde, teme di essere ricacciato in mare.
Occorre ridare fiato alla pietà: fiamma capace di riaccendere gli stoppini fumiganti di tante vite spente. Occorre farla circolare per le brutte e malfamate periferie del mondo e per le città opulenti e contraddittorie; piantarla nei campi che fioriranno a primavera.
Quanta solidarietà attorno al piccolo Emmanuele, quante lacrime, quanta fede. Quanto amore, quanta preghiera. Emmanuele è un maestro e il suo giaciglio una cattedra eloquente.
Accanto a lui non c’è posto per l’ipocrisia; qui la menzogna tace e l’odio mostra il suo volto sciocco e inopportuno. A questa scuola s’impara a vivere e a morire. Cristo ci chiama a risorgere con lui. Emmanuele ha finito di soffrire. Ha accolto l’invito ed è volato via. Chiara, la sua mamma, ancora una volta, ha patito le doglie del parto per aiutarlo a rinascere alla vita. Alla vita vera che non muore più.
Padre Maurizio Patriciello.