Ha vinto la superiorità dello Stato di diritto contro il piccolo uomo Matteo Messina Denaro
Il cerchio su Matteo Messina Denaro ha iniziato a stringersi con le voci sulla sua malattia. La Procura, che sapeva che il boss mafioso viveva a Palermo avendo arrestato, nel tempo, molte persone che ne avevano favorito la latitanza ma che non parlavano, autorizzava l’acquisizione delle cartelle cliniche oncologiche di tutti i palermitani nati nel 1962. Incrociando i dati e le patologie, si è scoperto che il cellulare di un tale Andrea Bonafede, il giorno in cui era sottoposto a un intervento presso la clinica privata, agganciava una cella da un’altra parte. I sospetti erano d’obbligo. E così, si inizia a seguire la storia terapeutica di questa persona, che lunedì 16 gennaio aveva un appuntamento per un tampone alla clinica dove si sottoponeva a chemioterapia.
Da lì, l’arresto.
“Andrea Bonafede” era tranquillo, fino a un’ora prima si scambiava messaggi con una donna (lo faceva con tante), rimasta poi sconvolta dal fatto di avere un rapporto amichevole con il boss dei boss. Così come la sua vicina di letto durante le cure, mai avrebbe pensato che si trattasse di Messina Denaro, che per trent’anni ha vissuto indisturbato nella “sua” Palermo (anche se non vi era nato) protetto da centinaia di persone. Furono 300 gli arresti effettuati subito dopo la cattura del boss Bagarella, latitante da “solo” cinque anni, mentre viaggiava tranquillo nel traffico palermitano sulla sua Lancia Y…per dare un’idea di quanti lo proteggessero.
Nonostante la latitanza di 30 anni vissuta in tranquillità ponga dubbi giustificati sotto tanti aspetti, ieri ha vinto superiorità della legalità e dello Stato di diritto su un piccolo uomo che ha trascorso tutta la vita a uccidere, vivendo da latitante protetto da altri piccoli uomini e piccole donne come lui. Anche chi ha favorito la sua latitanza deve essere arrestato e punito come merita. Perché la mafia è un cancro che divora la società, esattamente come quello che sta divorando Matteo Messina Denaro.