Laurea inventata: padre Maurizio Patriciello scrive ai genitori di Riccardo
RICCARDO – Caro papà e cara mamma di Riccardo, innanzitutto permetteteci di stringerci al vostro immenso dolore e di condividere con voi i sensi di colpa che avete dichiarato di provare. Consentiteci di sentirci smarriti come lo siete voi di fronte alla morte di vostro figlio. Ho letto e riletto la sua storia e le vostre parole affidate ai media.
Riccardo vi aveva mentito, non era vero che stava per laurearsi, era rimasto indietro con gli esami, però con voi stava preparando la festa. Quando tutto stava per venire a galla, ha fatto l’unica cosa da non fare e vi ha pugnalato il cuore. Adesso, comprensibilmente, vi fate tante domande, alle quali è quasi impossibile rispondere. Vi state flagellando, addossandovi la colpa della sua morte.
È giusto? Non lo so, come tutti, non lo so, ma non me la sento di infierire sul vostro dolore. Voi dite: « Non lo abbiamo capito. La colpa è nostra …». Ma chi di noi, quale genitore, quale psicologo, quale prete, quale educatore può capire appieno quel che passa nel cuore di una persona, se la stessa persona non si “rivela”, raccontando i suoi sentimenti, i suoi dubbi, le sue paure?
Quando una persona non vuole essere capita, riesce a nascondere i suoi pensieri e suoi propositi meglio di quanto possiamo credere. Accade spesso. Accade quando un innamorato tradisce la compagna – magari per un tempo prolungato – senza che l’altra persona lo possa persino immaginare. Accade nei tribunali, quando l’autore di un reato viene rimesso in libertà perché ritenuto, a torto, innocente. Accade, come nel vostro caso, quando un figlio, per i più diversi motivi, mente ai genitori. No, carissimi Stefano e Luisa, assumete sì le vostre responsabilità, soffrite, piangete, ma non vi torturate. Non dovete farlo.
La vita è più complessa di quanto appaia. Nella morte di vostro figlio ci sono tanti lati oscuri che andranno lentamente rischiarati e c’è un mistero che mai potrà essere indagato. Vi chiedete se avreste potuto fare di più. Penso di si, ognuno di noi, in qualsiasi ambito dell’esistenza, può fare di più. Ho sentito dire a un medico, durante un convegno su ambiente e salute: « Il mio dovere è curare gli ammalati». È stato fortemente criticato. Prima di curare l’ammalato, infatti, è dovere di ogni medico impedire il sorgere della malattia. Perciò deve trovare il tempo per andare nelle scuole, nelle parrocchie, nei centri sportivi, per mettere in guardia i ragazzi dal cadere nelle trappole del fumo, dell’alcol, delle droghe, del gioco d’azzardo.
Tutti possiamo fare di più. Tutti dobbiamo – per quanto ci è possibile – imparare a scendere negli anfratti del cuore umano per leggere e decifrare che cosa si cela sotto l’apparenza esterna. Questa doverosa fatica investe gli insegnanti, soprattutto nei confronti dei più fragili, e al momento degli esami; gli amici che, meglio di chiunque, potrebbero accorgersi dei suoi disagi, i genitori, la società. È un discorso complesso, nel quale a nessuno è dato di poter dire: « Non sono fatti miei. Sono cose che non mi riguardano». È giunto il tempo di prendere atto che tutto ci riguarda, perché ogni uomo è mio fratello, perché la fragilità cammina sulle nostre gambe, perché ciò che oggi accade all’altro domani potrebbe accadere a me. Tutto mi riguarda e ti riguarda, allora.
Certo, occorre essere discreti e non invadere le altrui sensibilità, ma la discrezione, il rispetto e uno smisurato amore possono benissimo andare di pari passo. Tutti siamo responsabili di tutti. Certo, penetrare nel cuore umano, se l’altro non te lo permette e si chiude a riccio, non è cosa semplice. Le motivazioni possono essere le più diverse: la paura di essere giudicati, il venire meno a una promessa fatta, il deludere le persone care che su di noi hanno investito tanto, un fantasma che ci angoscia e di cui nessuno conosce l’esistenza. Ai nostri figli dobbiamo far capire che li amiamo in modo incondizionato, perché sono loro, perché sono unici, con i loro pregi, i loro difetti, i loro limiti, i loro egoismi, i loro slanci di affetto. E loro, i figli, debbono sforzarsi di amare i genitori anche quando non ne condividono le idee, i valori, i percorsi di vita. Con Stefano e Luisa piangiamo la morte di Riccardo. E impegniamoci a camminare insieme, giovani e meno giovani.
Maurizio Patriciello (da Avvenire)