A scuola senza Smartphone: perché sono d’accordo
Ha fatto molto discutere l’iniziativa intrapresa al Liceo Malpighi di Bologna, in cui si è chiesto agli studenti, per questo anno scolastico, di vivere in presenza la giornata scolastica senza l’interferenza dello smartphone. Ogni mattina studenti e docenti chiudono il loro smartphone in un cassetto e lo ritirano all’uscita. In questo gesto molti hanno visto la fragilità degli adulti che non sanno educare, ma sanno solo vietare. Eppure a scuola ci sono molti altri divieti che nessuno discute e che non vengono considerati dimostrazione della fragilità degli adulti. Spesso mi confronto con genitori in enorme difficoltà con la regolamentazione della vita online dei propri figli preadolescenti. I racconti che fanno non rivelano in alcun modo la loro fragilità educativa. Hanno idee molto chiare, un progetto educativo adeguato, sono responsabili, disponibili e coinvolti. Eppure tutto questo a volte non basta ad arginare gli effetti indesiderati e collaterali dell’utilizzo di smartphone in preadolescenza e prima adolescenza. Molti hanno parlato di adulti fragili e quasi nessuno ha parlato di quanto additivo e dipendentigeno sia l’uso dello smartphone. Entrare in un social, giocare con un videogioco è un’esperienza che porta il nostro cervello a produrre dopamina. Tutti i comportamenti dopaminergici ci spingono – compulsivamente e spesso inconsapevolmente – a rimetterli in azione, spinti da un bisogno non reale, ma indotto dalle esperienze stesse. E’ come un gatto che si morde la coda: più lo fai, più continui a farlo. L’età tra i 10 e i 16 anni è particolarmente sensibile a questo genere di stimoli perché la corteccia prefrontale, ovvero quella parte del cervello cognitivo che ci supporta nelle funzioni autoregolative, è ancora molto, molto immatura. Chiaramente lo è molto più a 11 anni che a 14 anni.
Ecco, io non comprendo perché affrontando la vicenda del liceo Malpighi di Bologna, in tanti abbiano pensato “Poveri Adulti” oppure “Poveri ragazzi”. A me verrebbe da dire invece che gli adulti che hanno preso quella decisione sono tutto, tranne che poveri. E questo vale anche per i ragazzi. Penso che ci voglia molto più coraggio, passione educativa e attenzione ai bisogni di chi cresce a fare la scelta che hanno fatto al Malpighi, piuttosto che a non farla. A scuola la tecnologia può essere utilizzata e implementata nella didattica digitale integrata, anche se lo smartphone resta chiuso in un cassetto. Per fare una buona Didattica Digitale Integrata, siamo certi che serva lo smartphone in classe?
Lo dico da genitore di 4 figli: mi considero tutto, tranne che un adulto sprovveduto e fragile. Ho scelto per i miei figli che avessero in mano lo smartphone ad uso personale solo alla fine della terza media. Ho documentato il razionale scientifico e pedagogico di questa scelta educativa nel libro “Vietato ai minori di 14 anni” (De Agostini ed.), un libro che ho scritto con Barbara Tamborini – mia moglie – e di cui non rinnego una sola parola.
Ultima osservazione: ho ascoltato interviste fatte alla rettrice del Liceo, ad altri docenti e agli stessi ragazzi e ragazze. Non ho avuto percezione di alcuna fragilità, da nessuna parte. Né tra gli adulti, ne tra gli adolescenti. Sarà interessante alla fine dell’anno scolastico chiedere direttamente agli studenti che cosa hanno vissuto , guadagnato e perso con i loro smartphone chiusi in un cassetto. In quel momento apprendere una verità scevra da pregiudizi e opinioni personali.
Se pensate che possa servire, condividete questo post con genitori e docenti. Il dibattito é aperto.
di Alberto Pellai