La recente sentenza americana, negando fondamento costituzionale al “diritto di aborto”, indica la strada che guarda al futuro
Cosa c’è di più orientato al progresso dell’affermazione che l’aborto non è un diritto? Gli avanzamenti di civiltà nella storia sono stati fatti ogni qual volta intere categorie di esseri umani sono state sottratte alla sopraffazione istituzionalizzata e riconosciute di pari valore a tutti gli altri. Questa è stata anche la sorte dei figli, dei bambini. In un lontano passato la loro vita dipendeva dalla decisione del pater familias che aveva sui figli il diritto di vita e di morte (“ius vitae ac necis”) e i bambini erano ai margini della società, non valevano nulla. La forza espansiva dell’uguale e inerente dignità umana e del conseguente diritto alla vita, nel corso dei secoli ha tracciato percorsi che hanno abbracciato tutti coloro che erano considerati socialmente senza valore – schiavi, neri, donne, ebrei… – riconoscendoli esseri umani a pieno titolo, titolari dei diritti dell’uomo primo fra tutti il diritto alla vita. Le campagne per abolire la pena di morte, così come le richieste di moratoria universale da parte dell’ONU riguardo alla condanna capitale, corrispondono a questa logica. Adesso è arrivato il turno dei bambini più bambini di tutti: quelli che sono in viaggio verso la nascita.
Per questo la recente sentenza americana (Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization, 24 giugno 2022), negando fondamento costituzionale al “diritto di aborto”, indica la strada che guarda al futuro. Che si tratti veramente di esseri umani e non di grumi di cellule, escrescenze, tessuti organici, vite potenziali, opinioni, questioni etiche, religiose o partitiche, lo dice chiaramente la scienza moderna che, con i suoi nuovi strumenti di conoscenza, ci permette di vedere l’inizio della vita umana e di seguirne lo sviluppo – continuo, graduale, coordinato, finalisticamente orientato secondo una forza intrinseca – fino alla nascita. Una meraviglia che investe anche la relazione mamma-figlio: «A prima vista potrebbe sembrare che il rapporto madre-embrione-feto si configuri come una forma di parassitismo, non di simbiosi. Nulla di più falso: durante la gravidanza si stabilisce tra due soggetti della stessa specie, la madre e il concepito, un fitto interscambio dal quale entrambi traggono evidenti benefici. Questi hanno effetto non solo durante il periodo della convivenza, ma anche nel programma del loro futuro» (S. Mancuso, G. Benagiano, Le sorprese e gli arcani della vita prenatale. Come ci strutturiamo e come comunichiamo prima di nascere, Rubbettino, 2021, p. 295). Non tenere conto di questo significa capitombolare indietro nella storia quando, in mancanza degli attuali strumenti di conoscenza, prendevano il largo fantasiose ipotesi pseudo-scientifiche. Nessuno dunque può pretendere il “diritto” di “far fuori”, come direbbe papa Francesco, questi piccoli esseri umani senza tradire il principio di uguaglianza, cardine della modernità, la democrazia sostanziale e la giustizia.
Negare che esiste un diritto di aborto è anche l’occasione per riflettere sulla maternità che in quanto tale presuppone la relazione – la più basilare – tra due soggetti: la madre e il figlio che vive e cresce dentro di lei (dualità nell’unità). Entrambi i protagonisti meritano attenzione e protezione e non è possibile tutelare il figlio senza la collaborazione della sua mamma. Il concepito infatti è principalmente affidato a lei che di fatto può difenderlo contro ogni ostacolo o rifiutarlo nonostante ogni divieto di legge. Perciò un’altra novità rispetto al passato, in cui la tutela della vita nascente era affidata alla minaccia penale, riguarda la ricerca di modalità nuove, di alto profilo e non equivoche, diverse dalla sanzione criminale, per proteggere i bimbi in viaggio verso la nascita; modalità che con chiarezza tengano conto della specialissima situazione della gravidanza e che siano capaci di suscitare la collaborazione della madre e del contesto in cui essa si trova; modalità coinvolgano la società nel custodire l’abbraccio tra la mamma e il suo bambino e non che lo lacerino; modalità che rendano permeabili alla pacificazione sul tema dell’aborto le menti e i cuori.
Infine – ma la questione non è affatto secondaria e porta anch’essa un elemento di novità – occorre una operazione culturale nuova che collochi sullo stesso piano le istanze di liberazione femminile con la difesa del diritto alla vita dei figli concepiti, invocando il principio di non discriminazione per le une e per gli altri. In questo le donne possono svolgere un ruolo fondamentale.
La scommessa è che il valore della vita non sia un muro d’incomprensione, ma un ponte per trovarsi insieme e insieme costruire un futuro migliore per tutti. La vita nascente è divenuta il crocevia della storia per quanto riguarda la dignità umana. Che oggi chiede di essere contemplata nel “più povero dei poveri”. Possiamo ancora dire che la sentenza americana è un “ritorno al passato”?
Marina Bandini Casini