L’insegnamento di Patrizio e Alessia, genitori del piccolo Tommaso
TOMMASO, PATRIZIO, ALESSIA Sono giorni, questi, decisamente difficili e angosciosi. Siamo seriamente preoccupati per la guerra che si protrae in Ucraina, per le conseguenze che si trascina dietro e per le tante guerre che si combattono nel mondo. Dal canto suo, il Covid 19 non la smette di tirarci brutti scherzi. In questo clima pesante, è giunta la notizia della tragedia avvenuta all’asilo di Pile, frazione de L’Aquila. Tommaso, 4 anni, è morto schiacciato da un auto, mentre altri bimbi sono rimasti feriti. Se ci siano responsabilità da parte della donna, mamma di due gemellini anch’essi all’asilo, che poco prima aveva parcheggiato l’auto non possiamo dirlo. Nei prossimi giorni verremo a sapere come stanno veramente le cose, speriamo che si sia trattato di una orribile fatalità.
Intanto arrivano, come gocce di acqua fresche in un deserto arso dal dolore e dallo sconcerto, le parole di Patrizio, il papà di Tommaso : « La madre dei gemellini non c’entra nulla, non coviamo un senso di vendetta nei confronti di quella donna. Sarà disperata quanto noi, anche la sua vita in fondo è stata rovinata ». E si dice disposto ad incontrarla, se lei lo vuole, insieme ad Alessia, la sua compagna. Un vero balsamo sparso sulle ferite aperte negli animi di tutti, donato non da un estraneo, non coinvolto emotivamente e affettivamente nella tragedia, ma proprio da chi sta pagando il prezzo più alto. Nessuno, infatti, più di Patrizio ed Alessia sta soffrendo per la morte, repentina e assurda, del bambino. Hanno perduto, questi cari genitori, il bene più prezioso che avevano al mondo. Nel giro di pochi minuti, senza che niente e nessuno lo lasciasse prevedere è accaduto l’irreparabile. Se si fosse abbandonato alla naturalissima reazione di lasciarsi andare, chiedere giustizia, magari di inveire contro il destino infame e contro colei che è, in qualche modo, lo avrebbe provocato, forse avremmo anche compreso. Per un dolore troppo grande nessuno è in grado di trovare parole che siano di vero conforto. Perciò tace. A poche ore di distanza, invece, Patrizio lascia tutti stupiti. Non inveisce, non maledice, non alza la voce. Tommaso, “ il mio piccolo amore” è morto. E lui sa che non potrà più riabbracciarlo. Nessuno di noi vorrebbe trovarsi nei panni suoi e di Alessia, è vero, ma nemmeno in quelli dell’altra mamma distrutta dal dolore e dal rimorso.
Si chiama comprensione questo toccasana. Potremmo anche parlare di perdono, un processo interiore che, in genere, richiede fatica, introspezione, e tempi lunghi, a volte lunghissimi, ma che, in questo caso – e in tanti altri simili – è arrivato a distanza di poche ore. Non penso che a traguardi come questi si arrivi dall’oggi al domani. Credo, invece, che a certe mete, a prima vista difficili e lontane, occorre guardare da sempre. Un po’ come fanno i bambini che giocano a calcio nello striminzito cortile della parrocchia ma già sognano di partecipare ai mondiali. O come quegli ingenui scalatori che si arrampicano sulle montagne più accessibili tenendo d’occhio però le cime irraggiungibili.
“Il fine è il primo nell’intelletto e l’ultimo a essere raggiunto”, scrive san Tommaso d’Aquino. Certe cose occorre volerle, desiderarle, inseguirle, perseguirle. Io voglio amare anche chi non è amabile, anche chi non mi ama o addirittura mi perseguita. Io voglio perdonare anche a chi, per motivi che magari nemmeno immagino, dovesse procurarmi danni o farmi male. Ecco la notizia che – soprattutto in giorni come questi che stiamo sopportando – deve rimbalzare nelle redazioni dei giornali e delle televisioni, nei social network, nelle famiglie, nelle scuole. Comprendere, aiutare, amare, perdonare sono i verbi che occorre coniugare in tutte le lingue se vogliamo scrivere la parola fine a questa guerra e a tutte le guerre nel mondo, e a quelle che si combattono dentro di noi. Grazie, Patrizio e Alessia, per questa lezione di vera umanità. Grazie per la vostra fede che, pur messa a dura prova, ha saputo donare pace.
Maurizio Patriciello.