Perché continuare a ri-leggere i Classici della Letteratura
Molti mi hanno chiesto (si dice sempre molti, ma in realtà solo un paio ehehehe) se non mi annoio a rileggere sempre la Divina Commedia come ho dichiarato recentemente che ho intenzione di fare per la quinta volta in vita mia.
Non mi ha sorpreso questa domanda e con piacere rispondo citando lo scrittore, insegnante e sceneggiato Alessandro D’Avenia che ha curato la introduzione alle tre cantiche commentate, per Mondadori, da Francesco “Franco” Nembrini, edizione della quale ho già parlato.
Sentite cosa dice il prof. D’Avenia: “Molti mi chiedono come un insegnante non si annoia a spiegare sempre le stesse cose. La domanda mi risulta incomprensibile, perché non ho mai spiegato un argomento nello stesso modo: ero cambiato dalla volta precedente, e soprattutto erano diversi i miei studenti. Il testo poi si apre a chi lo interroga in modo sempre nuovo, per questo ogni giro di programma è una scoperta, come accade a ogni rilettura dei classici. Anche se può sembrare una contraddizione, o quasi una follia, è prima di tutto il testo a cambiare. I classici hanno il potere di trasformarsi, come il dio Proteo, e manifestarsi nel modo che a ciascuno è dato vedere. I classici hanno al tempo stesso la facoltà seducente della metamorfosi e la resistenza dei veterani di guerra.
La parola “classico infatti indicava in latino il soldato di lungo corso, esperto di mille battaglie, sopravvissuto e capace di trasmettere la propria esperienza ai nuovi arrivati. Lo stesso vale per gli autori classici: sono quelli sopravvissuti alle infinite lotte a cui li ha sottoposti il tempo, da cui sono usciti non solo vincitori ma accresciuti, perché hanno da dire qualcosa di vero sull’uomo, qualcosa che non è dominato dal tempo, ma lo attraversa incontrandolo, trasformandolo, incarnandosi ogni volta.”
Risposta esatta, oserei dire. Grazie a ogni “ri-lettura” della Divina Commedia ho imparato qualcosa di nuovo, ho migliorato il mio modo di vivere, ho dato senso al presente, ho avuto un rinnovato desiderio di scrivere, vivere, cercare la Pace, cercare il bello. Quindi eccomi pronto a ripartire per questo viaggio dentro il mio cuore e a vivere la reincarnazione di Cristo grazie alla reincarnazione di questo testo classico.
“Ma che significa incarnarsi? – dice ancora D’Avenia – Che lo spirito dell’autore vive in una sorta di presente potenziale che si attua, si realizza, tutte le volte che qualcuno incontra il testo e gli dà vita con la voce, interiore o esteriore che sia. Senza questa rinnovata amicizia- filologo è chi ama la parola e la rende più viva, non chi la viviseziona – l’opera resta inerte, in attesa che qualcuno le presti la sua carne, segnata dalle inquietudini del tempo in cui vive, per tornare ad “accadere ancora. Chi legge i classici, e in particolare noi docenti, diventa destinatario di questa continua incarnazione, che potrebbe salvarlo dal cadere nel non senso, nella ripetitività. Abbiamo bisogno delle parole dei poeti perché lavano le finestre appannate della nostra percezione, ci fanno capire che la nostra esperienza non è
insignificante, che la nostra è una storia grande, ci riconnettono ai nostri desideri più profondi e veri. Ci chiamano fuori di noi per restituirci a noi stessi, in quella
che io chiamo “concentrazione esterna”, il paradosso di ogni autentica esperienza estetica: portarci fuori per restituirci, attraverso la relazione con la loro carne,
a noi stessi. E che cosa ha da offrirci Dante in ogni sua incarnazione? Una potenziata capacità di vedere, e noi diventiamo quello che vediamo.”
Si parte. Sono pronto a ripartire dalla Selva Oscura.