L’Agente della terra di mezzo: un libro da leggere pedalando!
Ho letto con piacere “L’agente della terra di mezzo – diario di viaggio” di Giuseppe Tecce sia perchè un po’ conosco quei posti sia perchè un po’ conosco Giuseppe (caro anche a voi lettori de IlCentuplo). Alla fine di questo libro, che consiglio, conosco di più quelle zone e ancor meglio l’amico Giuseppe a cui ho posto queste tre semplici domande
- perchè chi conosce già le tue terre dovrebbe leggere il libro e al contempo perché chi non le conosce dovrebbe leggerlo?
Una bella risposta a questa domanda me l’ha data un’amica che dopo aver letto il libro mi ha scritto su whatsapp, dicendo che il mio libro era meglio di quello scritto da Paolo Rumiz. Ovviamente faceva riferimento al libro APPIA di Rumiz. Al che mi sono permesso di controbatterla, perché già essere paragonati a Paolo Rumiz mi sembrava un sacrilegio (considerato che Rumiz, per me, rappresenta un faro del giornalismo e anche di certa narrativa legata ai viaggi e alle persone), essere addirittura meglio mi è sembrata una cosa veramente spropositata. Ma la sua risposta è stata secca e diretta: I tuoi luoghi avevano un’anima, quelli di Rumiz no. In questa risposta , forse, c’è una sintesi di tutto quanto si possa dire. Di certo ho cercato di descrivere i luoghi ed i personaggi che ho incontrato non solo attraverso ciò che ho visto con gli occhi, ma anche attraverso quello che ho sentito con il cuore. Ma questo passaggio, per me, è stato naturale, considerato che si tratta di luoghi a cui sono molto legato per una serie di motivazioni personali. Quindi, ricapitolando: chi li conosce può trovare dei dettagli, delle sfumature in più. Perché spesso ci limitiamo a guardare i luoghi con gli occhi, e questo, spesso, non basta. Per chi non li conosce può essere una bella scoperta, di una terra davvero ricca di cultura, di natura, e di gente, all’apparenza scontrosa, ma che poi ti da pure l’anima, quando lo ritiene necessario.
- nel libro proponi che venga resa obbligatorio ai giovani italiani di fare un periodo di vita lontano dal proprio territorio, perchè?
Ohhhh, mi fa piacere che tu mi faccia questa domanda. Di questo punto ne ho fatto un cavallo di battaglia. Vedi, si dice che il popolo italiano sia un popolo di Santi, poeti e navigatori, però con l’andare del tempo la passione per il navigare e per il viaggiare in generale deve essere un po venuta meno. Quindi mi capita spesso di imbattermi in persone che pur non avendo viaggiato sostengano a spada tratta le tradizioni italiane, ad esempio quelle culinarie. Questo è un eccesso che deriva dal non aver viaggiato, o del non aver viaggiato bene, perché ovunque io sia stato, anche nell’angolo più remoto del pianeta, mi sono sempre imbattuto in qualche specialità culinaria e a dire il vero ne sono sempre rimasto soddisfatto. Ma al di là di questa regressione culinaria, la questione è che solo viaggiando puoi veramente apprezzare le bellezze storiche, naturalistiche e paesaggistiche del nostro paese. Non che gli altri non ne abbiano, per carità lungi da me quest’idea, ma è che in Italia ne abbiamo una concentrazione così alta che spesso ne siamo assuefatti. Basta già semplicemente andare nell’est dell’Europa, senza allontanarsi tantissimo dalle nostre terre, per rendersi conto che certe bellezza della natura o dell’architettura sono presenti in ogni angolo del territorio dell’Italia, compreso quello di una regione che potrebbe sembrare secondaria, quale l’Irpinia e che scarseggiano altrove. Non in ogni luogo c’è l’attenzione per la bellezza che noi abbiamo insita in tutto ciò che facciamo, e quindi già solo nell’est Europa, ti capita di restare sopraffatto dall’architettura scarna ed antiestetica di intere città. Alcuni dicono che si tratti dello stile architettonico del socialismo reale, per me è il contrario dell’architettura. Però per capire veramente quanto abbiamo, è necessario vivere un periodo di privazione. Solo attraverso il sacrificio della privazione puoi aprire la mente verso la bellezza che ci caratterizza.
- Abbandonare l’auto e prendere la bicicletta è una prima soluzione per uscire dalle conseguenze di due anni di virus?
Bhe, prendere la bicicletta può essere sempre una valida soluzione, non solo al virus, ma a tanti malanni che affliggono la nostra società. Nel mio caso specifico, la bicicletta l’ho tirata fuori in concomitanza della crisi pandemica. Cioè il momento della crisi mi ha reso consapevole della vitaccia che conducevo, spostandomi come una pallina da ping pong su tutto il territorio della penisola e non solo (Ho avuto la fortuna di viaggiare tantissimo e di conoscere abbastanza il mondo). Allora la battuta d’arresto determinata dalla pandemia mi ha aperto gli occhi su un mondo che troppo spesso snobbavo o tenevo da parte. La bicicletta, d’altra parte, cos’è se non uno strumento di viaggio, ma lento. In tempo di pandemia, quando ovviamente era consentito uscire, il tempo si era rallentato e dismisura. Sembrava di avere una quantità di tempo a disposizione di cui non si immaginava nemmeno l’esistenza durante la vita pre pandemica. E quindi la bicicletta è stata una risposta alla morte della pandemia, con l’energia della vita. La vita che ha primeggiato, infondendomi l’energia necessaria per pedalare (a me che non sono di certo un ciclista professionista). Il mio consiglio è di utilizzare la bicicletta tutte le volte che se ne ha la possibilità o se ne sente il bisogno. E’ un toccasana per il corpo e per la mente.
Grazie Giuseppe e buona lettura a tutti quelli che vorranno acquistare il libro anche qua https://bookabook.it/libro/lagente-della-terra-mezzo/