Preghiera nella Luce, testimonianza della Luce!
Preghiera nella Luce, testimonianza della Luce!
O Padre, che ci chiami ad ascoltare il tuo amato Figlio,
guidaci con la tua parola …
(Colletta II Domenica di Quaresima/C)
La preghiera ‘non è dire preghiere’ (Papa Francesco) e nemmeno ritagliarsi uno spazio intimistico e distaccato dalla realtà circostante, una sorta di “fuga mundi” per dirla con un motto medievale. È innanzitutto e soprattutto “mettersi alla presenza del Padre e ascoltare la voce del suo Figlio”. Entrare cioè nel circuito d’amore trinitario, essere coram Deo (trad. : al cospetto di Dio) ed entrare in dolce colloquio col Signore, come faceva amichevolmente Mosè quando entrava nella tenda del convegno (cf. Esodo 33, 9-11).
Il brano della trasfigurazione è appunto una scena gloriosa e simbolica sull’esperienza della preghiera; niente di evanescente né di soprannaturale, ma la rilettura teologica di quanto ci accade quando “entriamo nella preghiera”. A tal proposito ricordo con grande piacere l’ingresso della Cappella del CUM di Verona, centro per la formazione dei missionari fidei donum: il “bussolone” d’entrata della chiesa era formato da un trittico raffigurante Gesù tra Mosè ed Elia, a significare appunto che chiunque entra nell’aula liturgica sta salendo sul Monte Tabor, per fare il “pieno di luce”, esperienza della gloria (kavod in ebraico vuol dire anche ‘peso’) di Dio. Sentire il peso di Dio. Entrare nella nube della sua presenza. Stare alla sua luce. Inebriarsi di lui. Saziarsi della sua immagine (cf. Sal 17).
Su questo monte ci sono tre discepoli: Pietro, Giovanni e Giacomo. I loro atteggiamenti dicono come noi uomini e donne stiamo o non stiamo nella preghiera. E non è per nulla scontato che i Vangeli ci dicano i dinamismi delle nostre distrazioni nella preghiera. E non è affatto strano che nella preghiera ci si possa distrarre. Molti restano turbati per le loro deconcentrazioni a messa, durante le lodi o i vespri o mentre si vive l’adorazione eucaristica. Pregare non è facile. È un faticoso impegno che implica l’unione della mente con il cuore ed il corpo. Preghiamo attraverso i pensieri e i sentimenti, ci insegna la scuola ignaziana. Ma non va ridotta nemmeno la preghiera a mero esercizio psicologico. La preghiera è opus Dei (San Benedetto): opera, lavoro di Dio in noi. A noi tocca restare vigili e attenti. Al contrario di Pietro e degli altri due che dormono sul monte (come nel Getsemani saranno vinti dal sonno). Solo al loro risveglio potranno vedere la gloria di Dio; ma restano assopiti e dormienti nell’anima, perché il loro stupore e la loro voglia di accamparsi sul luminoso Tabor non corrisponde alla volontà di Gesù. La preghiera non solo non isola dal mondo, ma ci invia nel mondo (l’ “Andate in pace” del celebrante a messa è un mandato missionario, non la sigla finale di un momento). Ci fa discendere dal monte per tornare a valle silenti ma testimoni nella vita. E così silenziosi sono chiamati i tre a ritornare alla loro quotidianità. Facciamolo anche noi. Testimoni non a parole ma nello stile di vita
… perché purificati interiormente,
possiamo godere la visione della tua gloria.
(Colletta II Domenica di Quaresima/C)
Così ammoniva anche San Francesco i suoi discepoli, quando li inviava a S. Maria degli Angeli o a Foligno o a Perugia e chissà dove: “Predicate. Predicate sempre. Annunciate il Vangelo, se necessario anche con le parole”!
Buona Domenica!
don Domenico Savio Pierro – Assisi