Nella mangiatoia divina incontriamo la tenerezza di Dio
Francesco, il Papa della tenerezza, ci chiede di non aver paura della tenerezza. E lo fa invitandoci ad allestire e contemplare il presepe “nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nelle piazze». Per dire, senza bisogno di tante parole, che Dio, creatore e signore del cielo e della terra, si è fatto un bambino bisognoso di coccole e carezze. Si è consegnato a noi, alla nostra carità, alla nostra responsabilità, nella sua più totale debolezza.
Nella mangiatoia divina incontriamo la tenerezza di Dio. Nessun imbarazzo, nessun protocollo da rispettare, nessun lasciapassare da esibire mentre entriamo nella grotta benedetta. Al mare sconfinato del paradiso in terra, ognuno può attingere quanta acqua vuole; ognuno decide la misura del recipiente da riempire. Anche per chi non crede, o crede diversamente dal fedele cattolico, il presepe è un richiamo all’umiltà, alla bontà, al desiderio di giustizia. Il bambino nudo e povero, adagiato sul fieno, richiama alla nostra mente e al nostro cuore tutti i bambini che nel mondo soffrono per l’egoismo, la crudeltà, lo sfruttamento di tanti adulti; tutte le povertà che milioni di persone, ad ogni latitudine, sono costrette a subire. Ai piedi della mangiatoia, tutti possiamo godere la visione beatifica e inebriarci del mistero.
“ Il presepe suscita stupore, ci commuove”. Dio non esclude, chiama; non comanda, invoca; non grida, sussurra. Non inveisce, piange. Nessuno meglio dei bambini sa cogliere il messaggio che veicola il presepe; nessuno, meglio dei santi sa contemplare l’abbraccio con cui una donna della nostra stirpe tiene stretto a sé il Dio incarnato. O incredibile mistero!
Continuiamo o riprendiamo a fare il presepe. Facciamoci aiutare dai bambini. E dentro mettiamoci i nostri lavori, le nostre ansie, le nostre preghiere. Mettiamoci la vita di ogni giorno. Perché è nel nostro quotidiano andare che Dio passa. Niente è estraneo al presepe, niente di ciò che è umano, stona con la rappresentazione della nascita di Gesù. Dio è sceso in terra per catapultarti in cielo. È morto perché tu non abbia più a morire.
Ascoltiamo il Papa. Preghiamo il Signore perché ci dia un cuore semplice, umile, vero come quello del Poverello di Assisi. « Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del figlio dell’Uomo. Infatti, come nei giorni del diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino ai giorni in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla…» abbiamo ascoltato dal vangelo di domenica scorsa. Il motivo del rimprovero mosso a questi nostri antichi fratelli non fu per il mangiare, il bere o l’ammogliarsi, ma per il “non accorgersi” di ciò che stava accadendo sotto i loro occhi.
Il presepe ci chiama a rimanere svegli. Ad esserci. Ci siamo. Forse non riusciremo a cambiare il mondo, ma ci siamo; non riusciremo a impedire a Caino di scagliarsi contro Abele, ma ci siamo. Dobbiamo esserci. Non col muso lungo di chi vi è costretto, ma con la gioia di chi corre ad abbracciare la persona amata. Siamo chiamati ad “accorgerci” di chi ci vive accanto, dei nostri amici e, soprattutto, dei nostri nemici.
Con uno sguardo di tenerezza che si fa azione, progetto, volontà di sollevare l’uomo dalle miserie in cui è caduto o è stato precipitato. E ricordargli che “per noi uomini e per la nostra salvezza” Dio discese dal cielo. Andiamo incontro al Signore che viene. Senza indugio. Rispolveriamo i talenti che, nella sua bontà, volle donarci e traffichiamoli. Davanti al presepe prendiamo atto di essere più ricchi di quanto mai avremmo potuto credere. Questo è il tempo di metterci in cammino; il tempo della tenerezza di Dio. Il tempo di accarezzarlo e lasciarci accarezzare. Come san Francesco ieri, come papa Francesco oggi.
Padre Maurizio Patriciello.