Voce di Profeti: da Giovanni Battista a Papa Francesco
«Sulle rive di questo mare Dio si è fatto uomo», ha detto il Papa a Lesbo. Come noi, proprio come noi. Ha assunto ciò che ci angoscia, ci deprime, ci fa sperare e ci dona gioia. Ha voluto bere fino in fondo il calice dell’amarezza dei peccati e delle assurdità umane. Con noi e come noi rimane esterrefatto nel constatare la facilità con cui, sovente, la vita umana – unica e preziosissima – viene derisa e bistrattata. Al giovane che gli chiedeva quale fosse il primo dei comandamenti, Gesù gliene propose due, che poi, a ben guardare, sono la stessa cosa. Amare solamente Dio potrebbe trarre in inganno chiunque; tutti possiamo convincerci, in perfetta buona fede, di farlo. È l’amore concreto agli uomini che ci conferma l’autentico amore a Dio. La prova del nove.
Le parole del Papa risuonano in questi giorni come l’urlo del Battista. Come Giovanni, anche Francesco, grida nel deserto del mondo. Un deserto, tante volte, fatto di indifferenze e diffidenze; di egoismi e avidità. Un deserto dove gli altri, e perfino i bambini, ci fanno paura. E ci difendiamo, guardandoli non come compagni di viaggio da aiutare ma nemici da rigettare. E li lasciamo morire in mare. «Se vogliamo ripartire, guardiamo i volti dei bambini. Troviamo il coraggio di vergognarci davanti a loro, che sono innocenti e sono il futuro».
È vero, tanti non sono più cristiani o non lo sono mai stati; ma è vero anche che la nostra vecchia Europa dei valori giudaico – cristiani si è nutrita e ancora vive. Quella di Francesco è una voce che ci inchioda ai nostri doveri. Voce di profeta. Non sempre queste voci sono bene accette. I profeti non sono mai accomodanti; misericordiosi verso tutti, li trovi sempre schierati dalla parte dei piccoli e dei deboli. Non poche volte danno fastidio, i profeti. Nel momento in cui, sazio e soddisfatto, ti bei dei tuoi beni, ti rovinano la festa, ricordandoti magari che “oggi stesso morirai”.Che fare? Abbassare il volume e amplificarlo?
A noi decidere dove installare la tenda. A noi, singoli cristiani, chiese locali, società civili credenti, non credenti, diversamente credenti, scegliere gli occhiali da indossare nel momento in cui ci accingiamo a guardare il mare. Non a tutti dona gioia e spensieratezza, il mare; per tanti esseri umani è il terrore. Nascosto tra le onde gelide, essi intravedono solo il volto arcigno della morte. Scappano dal fuoco che li brucia e trovano l’acqua che li annega. Per tanti «il mare sta diventando un freddo cimitero senza lapidi» ha detto Francesco.
Facciamo diventare questo messaggio drammatico e zeppo di speranza, la stella cometa per approdare a Betlemme. Impariamo a vedere in ogni bambino il volto del Dio – bambino. Non è vero che il vangelo sia una sorta di consolatoria panacea, esso è una spada rovente e affilata che penetra nel profondo dell’animo e ti spacca in due. La pace che Gesù ci dona è sempre intrecciata a una persistente e santa inquietudine. C’è un solo modo per non invecchiare tristemente ed è quello di prenderlo sul serio. Amore, pace, giustizia, solidarietà, condivisione, le colonne su cui poggia la Chiesa e l’umana società sono semi che, se messi in vetrina, si atrofizzano, seccano. Solo se lasciati macerare nel proprio cuore faranno fiorire il deserto.
Chiediamo, in questi giorni di “Avvento”, il dono della vista. Come il cieco del Vangelo corriamo incontro al Dio che viene gettando via il mantello delle nostre sicurezze e delle nostre ipocrisie. Signore, che io veda! Signore, che io veda ciò che ha visto e continuamente vede il Papa. Che io senta gli stessi sentimenti, la stessa paura, lo stesso dolore, la stessa angoscia, le stesse speranze dei genitori dei bambini che, in mare o alle frontiere, muoiono di freddo e di fame. E poi, con serena fermezza, ancora una volta, possa chiederti: «Signore, che cosa vuoi che io faccia?» .
Maurizio Patriciello.
(visita il Memoriale del Migrante presso la Cittadella di Semi di Pace di Tarquinia)