Squid Game e minori: ecco perchè Netflix deve chiedere l’età perchè non è sempre e solo colpa di noi genitori
La serie Netflix di origine coreana Squid Game è ufficialmente la più vista in assoluto nella storia della piattaforma di streaming. Il successo è stato tale da aver pompato i ricavi dell’azienda e i nuovi abbonati oltre le aspettative.La trama racconta di centinaia di cittadini in gravi situazioni economiche e sociali invitati a sfidarsi a una serie di giochi per la vittoria di un premio milionario. Chi perde durante le sfide viene ucciso, e ad ogni morte il trofeo finale aumenta di valore. Non ho visto la serie e mi è stato detto che il finale ha una sua qualche interessante ‘morale’, ma in ogni caso voglio chiarire che non è della violenza della trama che intendo discutere, né di qualsiasi considerazione si possa fare su di essa, dato che ognuno, nel suo salotto di casa, si guarda quel che vuole.
Il problema è se a guardare Squid Game con gli occhi sgranati nel salotto di casa o, più probabile, sul letto della sua cameretta, è uno di quei milioni di minori di 14 anni a cui la visione è vietata dalla legge. Non è una preoccupazione teorica: le cronache di queste ore confermano che lo straordinario successo della serie e il boom di profitti di Netflix deve molto al numeroso pubblico illegale di minori, che restano talmente influenzati dalla storia da replicarne le scene a scuola.Insegnanti e docenti di mezzo mondo stanno infatti segnalando alle autorità che i loro alunni, anche delle elementari, durante la ricreazione giocano a Un, due, tre… stella (una delle sfide presenti nella serie) e “sparano” con la mano ai perdenti.
In Belgio una bambina di 7 anni anni è tornata a casa in lacrime e piena di lividi per essere stata picchiata da altri compagni per aver perso al “gioco”.Davanti a uno scenario così drammatico in molti stanno mettendo sotto accusa la capacità dei genitori di controllare i contenuti visionati dai figli, o addirittura la stessa capacità di capire quando un contenuto sia o non sia adeguato a loro.Benché sia vero che negli ultimi decenni i genitori hanno perso mordente nell’educazione dei figli (anche a causa della crisi strutturale della famiglia e della stabilità delle sue relazioni interne, si pensi all’impennata di separazioni con tutte le conseguenze del caso), personalmente non credo che questo sia il cuore della questione, almeno in questo caso. Anche il genitore più accorto e presente nella crescita di un figlio non potrebbe materialmente seguirlo e controllarlo nelle infinite circostanze quotidiane in cui è ormai possibile avere a disposizione mezzi per connettersi a internet, soprattutto fuori casa.
Il vero problema è l’assoluta assenza nel web di filtri efficaci che traducano in realtà i divieti legali di visione di contenuti e fruizione di servizi non adatti a minori. È, in definitiva, un problema largamente pratico, legato alla verifica dell’identità e dell’età dell’utente (age verification duty) da parte dei fornitori di servizi online.I minori hanno oggi la possibilità di accedere senza alcuna resistenza da parte del sistema ad ogni tipo di contenuto che può ferire, spesso irreversibilmente, la loro sana maturazione psicofisica, attitudinale ed affettiva (pornografia, gioco d’azzardo, violenza estrema, molestie e abusi…).È arrivato il momento di obbligare tutte le piattaforme online a verificare attivamente l’età dell’utente al momento dell’accesso ad ogni singolo contenuto vietato ai minori dalla legge (come peraltro fa già YouTube), tramite forme di autenticazione il più stringenti ed effettive possibile (dal codice inviato sul cellulare o sulla mail del genitore fino alla richiesta della copia del documento di identità).
Nel caso concreto, non si potrebbe guardare Squid Game senza aver inserito un codice inviato sul cellulare o sulla mail del genitore intestatario dell’abbonamento, avvisato del fatto che il contenuto di cui si chiede la visione è vietato ai minori (e delle conseguenti responsabilità penali).È chiaro che residueranno sempre dei margini per i sotterfugi dei ragazzini più scaltri, ma questo non toglie il dovere di ridurre comunque al minimo, già in partenza, gli spazi di queste possibilità.
Ovviamente, il più sofisticato sistema di ‘parental control’ non potrà mai sostituire il ruolo del padre e della madre nella vita del figlio, fatta di presenza fisica, condivisione, conoscenza, interesse, testimonianza, sostegno e severità, quando occorre.Non si può però nemmeno pensare di addossare completamente sui genitori l’immane responsabilità di verificare materialmente, ventiquattro ore al giorno e dovunque ci si trovi, l’attività online del proprio figlio. Netflix ha guadagnato una valanga di soldi anche grazie all’assenza di filtri efficaci per tutelare i minori. Sarebbe bene reinvestire una parte di quei milioni nella tecnologia necessaria perché ciò non si ripeta.
Filippo Savarese