L’autorità del cristiano si fonda sul servizio
29ª Domenica del T.O. – anno B
Prosegue, anche questa domenica,l’istruzione dei discepoli lungo la via che Gesù percorre dirigendosi verso Gerusalemme, Infatti, dopo il terzo annuncio sul destino del “Figlio dell’ uomo”, che sarà consegnato ai capi della capitale per essere condannato a morte, l’evangelista Marco riporta la reazione dei discepoli. Purtroppo essi restano, ancora una volta, estranei alla prospettiva di Gesù che va a morire, e lo seguono sempre pronti a litigare per i primi posti. Di questo arrivismo o carrierismo si fanno interpreti i due figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, che si avvicinano a Gesù e gli dicono: “Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo… concedici sedere nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”.“voi non sapete ciò che domandate”, risponde Gesù; poi ripropone la sequela sulla via della morte di croce facendo ricorso a due immagini, quella del calice e quella del battesimo: “il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete”. E’ una velata allusione al martirio dei due fratelli. Per quanto riguarda la partecipazione alla sua gloria, essa dipende della libera disposizione di Dio e della sua sovrana azione. I discepoli sono quindi chiamati a seguirlo nella fedeltà, anche a costo della vita, sapendo che il loro destino è nelle mani di Dio.
Bisogna inoltre tener presenti, nella preghiera, queste parole di Gesù: “Non sapete che cosa chiedete”. Troppe volte vogliamo imporre le cose a Dio. Deve essere il contrario. Dobbiamo lasciare a Dio la possibilità di farci conoscere il suo disegno C’è da fidarsi di ciò che ci dà il Signore, più che di quello che possiamo pretendere noi da Lui. La sua proposta è sempre molto più vantaggiosa delle nostre domande. Quindi abbiamo tutto da guadagnare quando Dio non ci concede ciò che vogliamo che Egli faccia per noi. La vera preghiera non è “ vogliamo che faccia per noi quanto ti chiederemo”, ma “vogliamo fare quanto tu ci chiederai”. In altre parole, il discepolo di Cristo è chiamato ad operare nel presente, lasciando che Dio programmi liberamente il futuro.
Per fondare e motivare i nuovi rapporti tra i discepoli ,Gesù non esita a offrire se stesso quale ideale cui riferirsi:”IL Figlio dell’ uomo, infatti, non è venuto per farsi servire ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”. Questo comportamento del Maestro appare normativo per i discepoli. Gesù non soltanto abolisce i gradi ed esorta all’umiltà, ma anche intende cambiare mentalità e sradicare completamente l’istinto del dominio dell’uomo su un altro uomo. Non presenta un progetto di, comunità – senza- autorità, ma di comunità – senza – potere. L’autorità, in effetti, non è caratterizzata dalla possibilità di comando ma dalla realtà del servizio.
La strada della croce non è “soffrire” ma è, anzitutto, “servire”. Il “dare la vita” rappresenta dunque il punto più alto, l’aspetto essenziale raggiunto dal servizio del Cristo in favore degli uomini. Così, non solo la sua vita, ma anche la sua morte è “servizio” a vantaggio degli uomini. Gesù cioè che annuncia il Regno lo attua proprio nella dimensione del “servizio”. E Dio regna là dove un uomo decide di porsi in stato di servizio.
Siamo anche nel mese missionario. Si tratta della missione come proclamazione in parole ed opere della Buona Notizia del Regno di Dio: “il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al vangelo”. Dalla missione ad extra, bisogna ritornare oggi a una missione ad intra, liberandoci concretamente dalle “strutture del peccato” e dalla schiavitù dell’”homo economicus” (che assolutizza sempre di più il fattore economico e riduce l’uomo all’”animal laborans”, a una bestia da soma ); e bisogna riscoprire lo statuto dell’” homo religiosius”, perché l’esperienza della libertà dei figli di Dio e della nuova fraternità umana sia possibile.
Don Joseph Ndoum
Prima lettura Isaia 53,2-3.10-11 dal Salmo 32/33 2ª lettura Ebrei 4,14-16 Vangelo Marco 10,35-45