Non migliori dei padri … ma di noi stessi!
La Buona Novella – Introduzione al Vangelo della Domenica – XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO / B – Gv 6,41-51
Non migliori dei padri … ma di noi stessi!
Ora basta, Signore! Prendi la mia vita,
perché io non sono migliore dei miei padri!
A parlare così sembrerebbe un giovane che ha disatteso ogni speranza e aspettativa carrieristica, professionale o forse addirittura etica del suo genitore e dei suoi nonni, per giungere ad affermare così perentoriamente il desiderio della fine dell’esistenza. È un disoccupato? Un giovane talento dell’atletica estromesso della gare olimpioniche? Un artista decaduto? È un profeta vissuto più di 2500 anni fa, uno dei più grandi profeti del Primo Testamento: Elia il Tisbita, colui che sarà paragonato alla fine della sua vita come fuoco di Dio venuto nel mondo. Tanto è stata incandescente la sua parola che sia Giovanni Battista che il Signore stesso Gesù saranno paragonati proprio a lui durante le loro missioni profetiche ed evangelizzatrici lungo i territori della Palestina e dintorni.
Ma perché allora questo episodio così incredibile nella vita di un uomo di Dio audace e coraggioso come Elia? Com’è possibile contemplare nella storia di un santo profeta un tale scoraggiamento, indice della sfiducia in se stesso e di mancanza di fede nel Signore? Questo fu l’epilogo di una parte della sua vita: dopo aver ucciso (avete capito bene!) i profeti di Baal, idolatri e stregoni, è sotto il pedinamento di Acab il re e di Gezabele. Il re e la donna vogliono perseguitare il profeta che ha “eliminato” l’idolatria (non va letto in senso letterale questo, ma è simbolo di coloro che estirpano il male con la forza della Parola, come i preti che hanno annientato con la parresìa le mafie; non è un incitamento all’uccisione fisica) e lui ora timoroso e vile, sotto un ginepro spera di scomparire dalla faccia della terra.
Nel Vangelo Gesù completa il messaggio già annunciato nel primo libro dei Re, per bocca dell’angelo del Signore: il cibo di Dio per l’uomo è “l’amore che vince ogni timore” (cf. 1Gv 4,18), è forza dei deboli, rimedio dei peccatori, speranza dei discepoli codardi, coraggio per gli sfiduciati. Non è nascondendosi che ci si ripara da attacchi che la vita ci presenta senza permesso, ma con la comunione con Dio, con l’umile confidenza nella Sua grazia che tutto può, e nel Suo amore che tutto crede. Tutto spera. Tutto ama. E tutto sopporta. (Cf. Inno alla carità di San Paolo)
Coraggio, sorelle e fratelli!
Alziamoci da terra, lì dove sbattendo abbiamo toccato il fondo non solo del suolo ma quello della nostra umana fragilità, che ci ricorda chi siamo realmente: creature, uomini e donne, figli e figlie di un Padre che non ci vuole ‘migliori’ dei padri, ma ‘migliori’ di noi stessi. Più veri. Più umili. Più semplici. Più felici. Più suoi.
E non saremo più un “Domenico che possiede Domenico” con sforzi prometeici e slanci pieni di orgoglio, ma “Domenico accolto da Dio” (ciascuno può mettere il suo di nome) nella sua nudità di figlio, nutrito dal pane dell’amore. E impareremo a vivere da amati, per poi vivere da amanti. E solo così giungeremoemo beatamente col morire per amore.
Buona Domenica!
don Domenico Savio