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Il bisogno di interiorità e il richiamo della folla

16 Domenica del T.O. – B

L’immagine del “pastore”, legata alla nomadica di Israele, da l’intonazione alla liturgia della Parola di questa domenica ed è introdotta dalla pagina del profeta Geremia. Essa, infatti, prepara la lettura del brano evangelico di Marco, dove Gesù si presenta come il pastore compassionevole che accoglie, guida e protegge il popolo che è sbandato come un gregge senza pastore.

La compassione nella tradizione biblica è un tratto distintivo di Dio che, nonostante gli sbandamenti del suo popolo, non può abbandonarlo perché, come un padre o una madre di fronte a un figlio ribelle, è sempre preso da compassione (Os.l 1, 1-8) e sollecitudine amorosa per il suo popolo.

“Sbarcando, vide la folla…” ci rimase male e … “ne ebbe compassione”. Ci saremmo aspettati il dispetto e l’irritazione, dopo una giornata senza riposo. Invece prevale la misericordia e il servizio agli altri, alla folla, che non vuole saperne di essere lasciata da parte. Qui risulta chiaro che i missionari non possono rifiutarsi alla folla, devono sempre fare qualcosa per essa.

Tutto concorre a fare guardare in quella direzione. Oltre al ricordo dell’Esodo (15,13), è evidente il riferimento al Salmo 22: “II Signore è il mio pastore; non manco di nulla”. E il punto di partenza è la sua compassione e la sua sollecitudine amorosa verso il suo gregge. Questo atteggiamento si manifesta assicurando l’insegnamento ed il cibo, due realtà che non sono separate, poiché lo stesso insegnamento è cibo, nutrimento del popolo di Dio. Cristo non nutre la folla soltanto con il pane, ma anche con la propria parola. Questo legame tra parola e nutrimento viene spesso sottolineato a proposito della Sapienza.

Per noi che facciamo parte di questo gregge o popolo di Dio, occorre verifìcare la nostra capacità di seguirlo perché “affamati” della sua parola, domandandoci, con sincerità, se abbiamo il gusto di ascoltare la parola del Signore. Una comunità cristiana è tale in quanto è veramente affamata ed assetata della parola di Dio che è verità, via e da la vita.

Occorre scavare dentro di noi uno spazio perché Dio possa trovare dove allocare il suo messaggio che ci salva. Bisogna ascoltare, con assiduita, quella parola come fosse pronunciata per tè oggi e per la prima volta. La Parola di Dio va accolta con il cuore e deve penetrare spirito e corpo del credente; ed è così che accresce la fede. Deve cioè diventare veramente nostra, fare parte vitale di noi, carne e sangue del nostro organismo. Ossia la parola di Dio va assimilata. Il che comporta una azione caratteristica chiamata “ruminatio” : si tratta di ruminare, di triturare e masticare la parola di Dio, come nella tradizione monastica, e di vedere o contemplare come è buono il Signore (Sai 33,9). La parola di Dio diventa così cibo e bevanda nella prolungata riflessione contemplativa. E in questo modo che la Parola di Dio può fare succedere qualcosa nella nostra vita, realizzare ciò che significa e produrre ciò che proclama. E’ proprio una parola che da da fare.

Don Joseph Ndoum

                                                         Prima lettura Geremia 23,1-6 dal Salmo 22/23 Seconda lettura Efesini 2,13-18 Vangelo Marco 6,30-34

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