Federvita Lazio in visita al Memoriale della Shoah presso la Cittadella Semi Di Pace di Tarquinia
La Cittadella “Semi di pace” è uno spettacolo, un centro di diffusione di amore per la vita. Si trova a Tarquinia, immersa nel verde viterbese. Là si è svolta pochi giorni fa l’assemblea di FederVita Lazio e nell’occasione è stato proposto ai partecipanti di visitare, con la guida di Luca Bondi, il “Memoriale della Shoah” che si trova interno alla Cittadella: una mostra permanente intitolata “La Shoa in Italia. Persecuzione e deportazione (1938-1945)”, un percorso di riflessione su una delle pagine più buie della storia, lo stesso percorso che periodicamente viene offerto agli studenti delle scuole superiori come parte integrante di una formazione umana, civile, spirituale. Il momento più toccante è entrare nel “vagone”, un carro merci del 1935 corrispondente ai vagoni ferroviari che in quegli anni venivano usati per condurre uomini, donne e bambini violentemente strappati dal loro contesto esistenziale per essere consegnati a un destino di distruzione, mortificazione, tortura. Entrare in quel vagone suscita un tuffo al cuore. Quanto dolore e quanta sofferenza in quello spazio chiuso e cupo! Quante nostre sorelle e nostri fratelli sono stati misconosciuti come esseri umani, come persone, a causa di teorie che discriminavano tra vite degne e vite non degne di vivere (Alfred Hoche e Karl Binding, “Die Freigabe der Vernichtung lebensunwerten Lebens” – “La liberalizzazione della soppressione delle vite senza valore”). Il Memoriale della Shoa rievoca tutto questo e ci fa riflettere sul significato delle parole della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo voluta dalle Nazioni Unite proprio per rispondere alla crisi antropologica che aveva infestato l’Europa determinando una profonda crisi della medicina e del diritto: la libertà, la giustizia, la pace si fondano sul riconoscimento della dignità di ogni essere appartenente alla famiglia umana.
Due sono le caratteristiche principali associate alla dignità: l’inerenza e l’uguaglianza. La prima sta a significare che la dignità è il valore intrinseco, indelebile, dell’esistenza umana, non dunque un elemento accessorio o eventuale che può accompagnare o meno l’esistenza umana; lascia intuire una trascendenza dell’uomo rispetto al resto della natura, una grandezza che lo rende diverso da ogni altro essere vivente. La seconda, che la dignità è la ragione dell’uguaglianza tra tutti gli esseri umani: essa è presente con la stessa forza e la stessa intensità in ogni vita umana, senza variazioni e graduazioni.
Di qui alcuni importanti corollari che sono parte integrante della moderna idea dei diritti umani: il diritto alla vita è la prima espressione della dignità umana; ogni essere umano è sempre persona, soggetto, fine e non è dato ipotizzare una entità intermedia tra l’uomo e le cose, tra i soggetti e gli oggetti (altrimenti sarebbe infranto il principio di uguaglianza); il principio di solidarietà verso i più indifesi e quello di precauzione (nel dubbio si riconosce l’inerente e uguale dignità umana con i conseguenti diritti fondamentali). Non a caso, a proposito della dottrina dei diritti umani si è parlato di “religione civile” fondata sul “principio di venerazione” per ogni singolo essere umano. C’è in questo una “scommessa laica” sul senso positivo di ogni vita umana che riguarda anche nelle forme più emblematicamente ultime del vivere umano, quale è quella dell’inizio della vita, ma anche quella della prossimità alla morte, della malattia e della disabilità. Eppure, a livello planetario, si sta consumando nel campo della generatività il più grande sovvertimento dei diritti dell’uomo, divenuti – nell’estrema “periferia” dell’inizio della vita umana – moltiplicatori della “cultura dello scarto” in nome dei pretesi “nuovi diritti civili” che non sono altro che una minaccia frontale a tutta l’autentica cultura dei diritti umani. Perché? Perché si è smarrito il titolare dei diritti umani, il portatore dell’inerente e uguale dignità dell’esistenza umana: chi è, come si definisce l’uomo? Il porsi della generatività come riflessione sull’“esperienza limite” porta alla tentazione di dimenticare il “mistero dell’essere” non racchiudibile in quantità misurabili e rilevabili sperimentalmente. Ma è anche una grande occasione per riscoprire e approfondire la portata e il significato più autentico dei diritti umani. Il tema della generatività dunque sottopone a radicale verifica l’autenticità della moderna dottrina dei diritti umani proprio nel suo fondamento, perché l’umanità che si incontra in questo campo è quella strutturalmente più fragile e complessivamente più povera. Il giudizio di valore può apprezzare soltanto la “nuda umanità” e non altro. Perciò, affermando o negando che l’appena generato è “uno di noi”, si riconosce o si nega l’uomo tutto intero, in qualsiasi altro momento della sua esistenza, e si consolida o si sgretola la moderna idea dei diritti umani che, appunto, presuppongono l’“uomo” e si fondano sul riconoscimento dell’inerente e uguale dignità di ogni essere appartenente alla famiglia umana. L’unico pensiero che salva l’uguaglianza e i diritti dell’uomo è quello che esige come unico presupposto della dignità la “nuda umanità”. «Quel che è chiaro è che la nostra idea contemporanea di universalità in materia di diritti umani si è espansa a comprendere tutte le razze e le etnie ed entrambi i generi. La categoria di quanti riteniamo meritevoli di protezione coincide con l’intera specie. Non escludiamo le persone affette da handicap mentali per il loro difetto di capacità razionali o i rifugiati perché non hanno cittadinanza. Il requisito è diventato di natura essenzialmente biologica» (Adam Haslett, Il Sole 24Ore, 20 giugno 2010). L’affermazione per cui la biologia non basta a definire l’uomo è ad un tempo vera e falsa. È vera perché la biologia può solo descrivere i processi della generazione, ma non può darne un giudizio di valore, ma è falsa perché il pensiero umano, che fa riferimento al principio di eguaglianza, non può che appoggiarsi al dato biologico per riconoscere l’uomo.
E allora, perché il generato non dovrebbe essere coperto anch’egli dal principio di eguaglianza e considerato “uno di noi”? È evidente che lo sguardo della scienza è un primo passo. Occorre anche lo sguardo della mente e del cuore che sa riconoscere il capolavoro della creazione – l’essere umano, appunto – anche quando attraversando le fasi di massima povertà e di massima fragilità è un tutto concentrato e non ha nulla. Non è proprio questo sguardo che permette di riconoscere l’inerente e uguale dignità di ogni essere umano su cui si fonda la moderna cultura dei diritti dell’uomo?
Queste alcune delle considerazioni suscitate durante la visita al “Memoriale Memoriale della Shoah” sorto nella Cittadella “Semi di pace”. E che sia la pace a ricordarci il valore della vita ci riporta alle parole di Madre Teresa: l’aborto è il più grande distruttore della pace. Non c’è pace se non accogliamo e amiamo ogni vita.
Marina Casini Bandini – presidente Movimento per la Vita Italiano