Strage di Ardea: che cosa possiamo dire di sensato su quest’ ultima domenica di primavera macchiata di sangue e di terrore?
È domenica, il giorno del Signore; l’estate, ormai alle porte, già spande nell’aria il profumo del sole cocente. Ad Ardea, due fratellini, Daniel e David, giocano nei pressi della loro casa. Accade tutto all’improvviso. Da un’auto scende in gran fretta un uomo. Ha con sé una pistola. La usa. Senza un motivo, come obbedendo a una voce misteriosa e lugubre, spara. Salvatore Ranieri, un arzillo nonnino di 74 anni che sta facendo un giro in bicicletta, si rende conto del pericolo. Urla. Lo sconosciuto con la pistola in mano e la follia in testa, lo fredda. Poi spara ancora. Daniel e David si accasciano. Terrore allo stato puro. Un incubo. La gente scappa. Grida. Telefona chiedendo aiuto. Un folle. Un folle sta seminando morte. A raccogliere gli ultimi, strazianti rantoli dei bambini resta il loro papà. I soccorsi finalmente arrivano. Le sirene squarciano l’aria e gli animi. I ragazzini sono ancora in vita. Presto, occorre fare presto. Chissà che non potrebbero salvarsi. I credenti pregano. Il padre stringe forte le loro manine, li coccola, li incoraggia: « Forza, non è niente. Papà sta qui con voi. Adesso andiamo in ospedale… ancora un poco e tutto sarà finito. Poi ce ne andremo al mare, vero?». Bugie pietose più tenere e preziose di ogni verità. I bambini, purtroppo, non ce la fanno, e, uno dopo l’altro, diranno addio alla vita. L’assassino, intanto, si è barricato in casa. È pericoloso, potrebbe uccidere ancora. E, infatti, rivolge l’arma maledetta verso se stesso e fa fuoco. Si saprà che è un ingegnere informatico di 35 anni, Andrea Pignano. Le famiglie e gli amici delle vittime, gli italiani tutti, impazziscono dal dolore e dalla rabbia. Lo sconcerto non trova requie.
Ma perché Andrea ha fatto questa strage? Non c’è niente di più angosciante dei “perché” senza perchè. Le reazioni si scatenano. Com’ è possibile? Come possono accadere queste tragedie in un Paese come il nostro? Si va alla ricerca di eventuali responsabili. Se aveva problemi di sanità mentale – ci si chiede – come faceva a girare armato? Nessuno si è accorto di niente? E i servizi sociali? Si saprà che già altre volte aveva sparato a vuoto; che i vicini, pur temendolo, non avevano mai sporto denuncia. La mamma, troppo debole per fronteggiare da sola quel figlio armato e violento, fu l’unica a correre in caserma: un “trattamento sanitario obbligatorio” di pochi giorni e poi il ritorno a casa. Ci sarebbe da riflettere tanto.
I disagiati mentali pesano sulle famiglie e sul vicinato che si sentono impotenti. Un forte senso di rabbia serpeggia fra gli italiani. Qualcosa inizia a trapelare. La pistola, di suo padre, guardia giurata, era scomparsa dopo la sua morte. Sua mamma, disperata, dice che era “solo e isolato”, disoccupato, con problemi psichici. Lentamente, passano le ore.
Che cosa possiamo dire di sensato su quest’ ultima domenica di primavera macchiata di sangue e di terrore? Alla feroce banalità del male che, incurante e orbo, si abbatte all’improvviso sulla vita degli innocenti, possiamo solo opporre la nostra attenzione e la responsabilità che abbiamo verso tutti. Senza gettare la croce sulle spalle di nessuno, occorre pur dire che se tutti coloro che in un modo o in altro, nel tempo, hanno avuto a che fare con lui – i servizi sociali, le forze dell’ordine, i familiari, i conoscenti, i vicini – avessero fatto tutto ciò che rientrava nelle loro pur limitate possibilità, forse questa sciagura immane si sarebbe potuta evitare.
Nostro compito, oggi, è rimanere accanto alle famiglie colpite da codesti lutti e assumere su noi almeno un poco del loro straziante dolore. Solo il pensiero che la vita dei loro cari non si è spezzata ma continua in un’altra dimensione, può portare in queste famiglie un pizzico di sollievo. Con il dolore e la morte, che tante volte arrivano spietati e inaspettati, la nostra battaglia sarà sempre impari. Sosteniamo con la preghiera e con l’affetto coloro che da questa follia omicida sono stati duramente colpiti. Perché non abbiano a soccombere sotto il peso di un dolore atroce, lancinante, assurdo.
Maurizio Patriciello