Famiglia è dove c’è amore o dove c’è la mamma?
Uno degli slogan portati a sostegno delle famiglie “alternative” è: “famiglia è dove c’è amore”, affermando come sia meglio per un bambino crescere con due persone che lo amino, indipendentemente dal legame biologico, piuttosto che in una famiglia tradizionale dove magari ci sono violenza e litigi.
A tal proposito mi è venuto mente la storia di una bambina che ho letto in un libro anni fa. Preparate i fazzoletti e mettetevi comodi.
L’autrice è Torey Hayden, un’insegnante americana specializzata nell’insegnamento di sostegno a bambini con gravi problematiche psicologiche e psichiatriche, spesso dovute a episodi di abusi e violenza. In questo libro racconta la storia di una bimba di sette, otto anni, talmente trascurata a casa da non essere più in grado di reagire ad alcun tipo di interazione o stimolo con gli altri. Non parla, non piange, non ride, quasi non si muove. Ogni tanto, quando si sente minacciata, esplode in reazioni violentissime in cui calcia e colpisce chiunque le capiti a tiro. La maestra durante tutto l’anno scolastico cerca il modo di riportarla al mondo delle relazioni umane e piano piano riesce ad ottenere piccoli miglioramenti. Dopo l’ennesimo abuso a casa, la bimba finisce in ospedale per ipotermia (era stata costretta a dormire nella vasca perché aveva bagnato il letto) e viene finalmente tolta alla famiglia e affidata alle cure di una famiglia amorevole opportunamente formata, che si prende cura di lei come si deve. A questo punto tutti si aspettano che la bambina, finalmente al sicuro e amata, sbocci e fiorisca alla vita. Ma nonostante tutte le cure e le attenzioni del caso, la maestra, gli specialisti, e la madre affidataria si rendono conto che la bambina è entrata in una specie di depressione. E’ molto più mansueta, non ha più quelle esplosioni di rabbia distruttive, ma pare che semplicemente non abbia più desiderio di combattere. Scrive la maestra “ volevamo un miglioramento ma non a questo prezzo”. Nessuno si spiega come sia possibile che, nonostante le cose per lei comincino finalmente a girare per il verso giusto, lei non abbia più il desiderio di ricominciare.
Un giorno scoppia in lacrime in classe e dopo molte insistenze da parte della maestra, confida “voglio andare a casa.” La maestra le chiede “chiamiamo la tua nuova mamma?” Ma lei: “no, voglio andare a casa nella MIA casa. Mi manca la mia mamma e la mia sorella, loro non erano cattive” La sorella, di molti anni più grande di lei, disabile psichica, l’unica che in famiglia si prendeva la briga di accudirla come poteva e quando si ricordava. I servizi sociali sospettavano fosse la madre biologica della bambina ma la cosa non era mai stata appurata con certezza.
“Io volevo che finisse ma non sapevo che mi avrebbero portata via”. Finalmente la maestra capisce il problema. “Per la prima volta-scrive- mi resi conto che salvando Venus avevamo anche distrutto le cose che amava”. I servizi sociali organizzano le cose in modo che la bimba possa ricominciare a vedere la sorella maggiore e finalmente quando si riabbracciano spunta il sorriso sul volto della piccola Venus. Ora sì che tutto è pronto per la sua nuova vita e il libro si conclude con le parole che la maestra legge sul biglietto che Venus le dà a fine anno : “ Sono felice”.
La morale di questa storia è molto semplice. Famiglia non è dove c’è amore, famiglia è dove c’è la mamma.