1° Maggio San Giuseppe Lavoratore
Il 1° maggio, prima di diventare in Europa la “Festa del Lavoro”, fu per lungo tempo, alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX, una giornata di rivendicazioni e spesso di lotte per la promozione della classe lavoratrice. A questo richiamo non poteva rimanere insensibile la Chiesa, che i papi Beato Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti) e Leone XIII (Gioacchino Pecci) col loro magistero via via aprivano ai problemi del mondo del lavoro. Il Venerabile Pio XII (Eugenio Pacelli) istituì questa memoria liturgica, per dare una dimensione cristiana a questo giorno, mettendola sotto il patrocinio di S. Giuseppe lavoratore (1955). « Ogni lavoro – aveva detto già nel radiomessaggio natalizio del 1942 – possiede una dignità inalienabile, e in pari tempo un intimo legame col perfezionamento della persona: nobile dignità e prerogativa, cui in verun modo non avviliscono la fatica e il peso che sono da sopportarsi come effetto del peccato originale, in obbedienza e commissione alla volontà di Dio». Cristo stesso ha voluto essere lavoratore manuale, trascorrendo gran parte della vita nella bottega di Giuseppe, il santo dalle mani callose, il carpentiere di Nazaret. Per sottolineare la nobiltà del lavoro la Chiesa propone alla nostra meditazione S. Giuseppe artigiano. La festa odierna sostituisce quella del Patrocinio di S. Giuseppe sulla Chiesa universale, prescritta nel 1847 da Pio IX. Il Venerabile Pio XII e San Giovanni XXIII (Angelo Giuseppe Roncalli) resero omaggio a questo esemplare maestro di vita cristiana, all’uomo laborioso, onesto, fedele alla parola di Dio, obbediente, virtù che il Vangelo sintetizza con due parole: « uomo giusto ». « I proletari e gli operai – scriveva Leone XIII, il papa della “Rerum novarum” – hanno come diritto speciale a ricorrere a S. Giuseppe e a proporsi la sua imitazione. Giuseppe infatti, di stirpe regale, unito in matrimonio con la più grande e la più santa delle donne, considerato come il padre del Figlio di Dio, passa ciò nonostante la sua vita a lavorare e chiede al suo lavoro di artigiano tutto ciò che è necessario al mantenimento della famiglia ». Dalla Costituzione pastorale Gaudium et Spes (4,34) del Concilio ecumenico Vaticano II sulla Chiesa nel mondo contemporaneo.
« Per i credenti una cosa è certa: considerata in se stessa, l’attività umana individuale e collettiva, ossia quell’ingente sforzo col quale gli uomini nel corso dei secoli cercano di migliorare le proprie condizioni di vita, corrisponde alle intenzioni di Dio.
L’uomo infatti, creato ad immagine di Dio, ha ricevuto il comando di sottomettere a sé la terra con tutto quanto essa contiene, e di governare il mondo nella giustizia e nella santità, e così pure di riferire a Dio il proprio essere e l’universo intero, riconoscendo in lui il Creatore di tutte le cose; in modo che, nella subordinazione di tutta la realtà all’uomo, sia glorificato il nome di Dio su tutta la terra. Ciò vale anche per gli ordinari lavori quotidiani.
Gli uomini e le donne, infatti, che per procurarsi il sostentamento per sé e per la famiglia esercitano il proprio lavoro in modo tale da prestare anche conveniente servizio alla società, possono a buon diritto ritenere che con il loro lavoro essi prolungano l’opera del Creatore, si rendono utili ai propri fratelli e donano un contributo personale alla realizzazione del piano provvidenziale di Dio nella storia. I cristiani, dunque, non si sognano nemmeno di contrapporre i prodotti dell’ingegno e del coraggio dell’uomo alla potenza di Dio, quasi che la creatura razionale sia rivale del Creatore; al contrario, sono persuasi piuttosto che le vittorie dell’umanità sono segno della grandezza di Dio e frutto del suo ineffabile disegno. Ma quanto più cresce la potenza degli uomini, tanto più si estende e si allarga la loro responsabilità, sia individuale che collettiva. Da ciò si vede come il messaggio cristiano, lungi dal distogliere gli uomini dal compito di edificare il mondo o dall’incitarli a disinteressarsi .
SM